Amore, musica e confetti

 

Amore, musica e confetti – Chiara Orlando

  • Lunghezza stampa: 110
  • Editore: Panesi Edizioni (7 luglio 2017)
  • Venduto da: Amazon Media EU S.à r.l.
  • Lingua: Italiano

Adria è una giovane donna proveniente da una famiglia benestante della provincia piemontese. Abbandonando gli studi e le prospettive di carriera auspicate dai genitori, decide di lavorare come pasticciera presso una piccola confetteria di paese. Affetta da un radicato complesso di inferiorità nei riguardi della sorella gemella Brunilde, Adria nasconde le sue insicurezze dietro una quotidianità banale e priva di ambizioni lavorative e sentimentali.
Nicholas Zaliani è un geniale compositore e musicista. Con un passato difficile alle spalle, è un uomo freddo e insofferente. L’improvvisa perdita dell’ispirazione lo riporterà al paese natale del padre, lo stesso padre che lo ha abbandonato durante l’infanzia e che lo ha reso un figlio illegittimo.
Adria e Nicholas s’incontrano per caso, grazie a un confetto. La loro storia si dipanerà sullo sfondo di un paese piccolo ma ricco di storia. Riusciranno i due a incastrare i pezzi del disordinato puzzle che è la loro vita, riuscendo a trovare il coraggio per affrontare i problemi del passato e un futuro incerto ma ricco di speranza?

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La giornata doveva cominciare con un sorriso. Sorrise. Allo specchio pareva un po’ stirato, ma poteva accontentarsi.

 

UN ESTRATTO

1.
Adria non aveva mai afferrato il motivo per cui la gente si aspettava che i gemelli fossero identici, sia di aspetto che di carattere, oppure con personalità completamente contrarie ma comunque estrose e brillanti.
Lei si piaceva in quel modo, normalissima e imperfetta, ed era stato solo un caso che avesse passato i primi nove mesi della sua soddisfacente vita con la sua principesca, viziata, infallibile gemella Brunilde.
Non disdegnava la sua vita, anche se probabilmente era l’unica a crederlo.
Non era una bella sensazione. Eppure passava le giornate a fare il lavoro che amava in un posto meraviglioso, aveva un bell’appartamento proprio vicino al centro, comprato e arredato con i suoi risparmi, un “quasi” fidanzato che era l’invidia delle comari del quartiere… E non era abbastanza!
La madre piangeva la sua laurea mancata, la sua carriera mancata, il suo matrimonio mancato e la sua totale mancanza di aspirazioni che la rendevano agli occhi del mondo insipida come un bollito senza sale.
Lasciava a sua sorella bramare una vita esaltante fatta di luccichii e sorrisi stirati. Ci era riuscita, in verità; aveva conseguito la laurea in Giurisprudenza ed era in procinto di sposare un ex compagno di corso. Inutile dire che possedeva il fisico di un atleta dell’antica Grecia e l’oro di Mida.
E non ultimo, era stato la sua prima cotta.
Tanto per rigirare il coltello nella piaga, Brunilde aveva scelto come damigella d’onore la sua migliore amica, una modella da copertina con una fluente chioma color platino, e non lei, sua sorella.
Forse doveva aspettarselo. Ormai incontrava la gemella solamente durante le festività. Si era trasferita da anni e lavorava a Londra, non poteva certo rimanere intrappolata in una piccola cittadina della campagna piemontese. Leggeva sempre un certo disprezzo nel suo sguardo; come poteva sopportare quel suo riflesso insignificante e senza ambizioni?
Era difficile amare la semplicità. Difficile farlo se si nasceva Rampante.
Suo nonno, Romolo Rampante, calzolaio senza un soldo ma con una gran voglia di fare e un’abilità e ambizione fuori dal comune, era riuscito ad aprire una piccola bottega che si era nel tempo trasformata in una vera e propria impresa familiare. Il suo erede Massimiliano, padre di Adria, aveva dimostrato lo stesso talento per il commercio e, forte del nome che la sua azienda era riuscita a guadagnare, aveva cominciato a puntare gli occhi oltre l’Italia.
Sposando Bianca, cresciuta nella Torino bene e in stretti rapporti con potenziali clienti stranieri, Massimiliano era riuscito a esportare il marchio Rampante, il cui nome ora era accostato a un artigianato di lusso e qualità.
Erano state alte le aspettative che i genitori avevano caricato su di loro da quando erano nate.
Brunilde non li aveva mai delusi. Si era trasformata presto in una damina dalle maniere cortesi e dalle dorate aspirazioni, impregnata di malsana competitività e fredda come il mare in inverno. Per quel che riguardava lei invece, non si poteva dire lo stesso.
Adria era sempre stata una sorta di pecora nera della famiglia e quella della pasticceria non era proprio la carriera che i suoi avevano desiderato intraprendesse. O almeno, se fosse diventata una chef stellata richiesta dai migliori ristoranti italiani ed europei, forse le avrebbero perdonato il torto. Ma lavorare in una piccola confetteria di provincia, obiettivo
che con il suo scarso talento poteva a malapena permettersi, l’aveva completamente, inevitabilmente, estraniata dalle loro grazie.
Adria rimuginava così sulla sua vita fissando il soffitto bianco della camera da letto. Sul comodino, di fianco a lei, la sveglia attendeva fremente di cominciare ad abbaiare l’ora come un cane rabbioso.
Lo sapeva che era tardi, che le rimanevano solamente pochi minuti per godersi il tepore delle coperte prima di fiondarsi fuori dalle lenzuola… E li stava sprecando in inutili elucubrazioni.
Allungò la mano e afferrò brusca l’infernale arnese, cancellando l’impostazione di sveglia; tanto ormai non le serviva più.
Si stiracchiò come un gatto sgraziato, sperando di togliersi il sonno di dosso, ma invano. Fece penzolare le gambe oltre il materasso, cercando con gli alluci le ciabatte pelose blu inchiostro. Le trovò nascoste sotto il letto. Poi si diresse come uno zombie in cucina.
L’odore del caffè era l’ideale per rinvigorirsi in una mattina uggiosa di inizio novembre. Se lo preparò amaro, senza zucchero. Una colazione triste come il suo umore.
Sospirò e sgranocchiò una fetta biscottata. Un miagolio irritante le giunse alle orecchie; Palloncino si stava limando le unghie su una gamba del suo tavolo nuovo.
«È di noce, porca miseria! L’ho pagato un occhio della testa!», sbottò irritata, ma venne platealmente ignorata dal felino sovrappeso.
Palloncino era un gatto orribile, non sapeva neanche perché si trovasse ancora lì. L’aveva recuperato ancora cucciolo da un cassonetto e si era decisa a darlo a qualche amica, qualcuno che se lo potesse tenere in casa.
Erano passati due anni da quel momento e l’invasione del mostriciattolo si era fatta permanente.
Era pure brutto, con il pelo tutto grigio e disordinato e un muso ingrugnito che rendeva la sua espressione simile a quella di certi politici incacchiati che vedeva troppo spesso alla televisione.
«Siamo una bella coppia, tu ed io», borbottò. «Che dici, dovremmo sposarci?»
Un miagolio sprezzante fu l’unica risposta.
Si decise a riempire la sua ciotola, così almeno avrebbe lasciato stare per un po’ il suo povero mobile. Poi andò a prepararsi.
Il bello di vivere da sola risiedeva nel fatto che si poteva occupare il bagno per tutto il tempo che si voleva. Non era un problema stupido, il rituale del bagno era un sacrosanto diritto. Nel suo piccolo ma piacevole appartamentino non c’era gente che bussava alla porta intimandole di uscire, né doveva aspettare ore fuori per lavarsi i denti, come in coda alle Poste.
Si mise di fronte allo specchio e osservò il riflesso smorto del suo viso. Aveva sonno e le borse sotto gli occhi non le conferivano certo un’aria briosa. Rassomigliava a uno di quei personaggi nei film di vampiri che andavano tanto di moda: cupi, cadaverici e grigi.
Era un disastro ma dovette accontentarsi, era tardi.
Indossò un maglione largo color borgogna e pantaloni caldi, oltre alle sue amate scarpe da ginnastica. Comode e funzionali, anche se un po’ vecchiotte.
Fosse stata una modella, o almeno una bella ragazza, avrebbe fatto la sua porca figura anche così. Sfortunatamente viveva nel mondo reale; con un naso enorme e una chioma che, se lasciata libera, le ricordava lo scopino in saggina che sua madre usava per pulire il caminetto, non si poteva certo definire una bellezza. Inoltre il suo corpo stava assumendo una forma sempre più rotonda.
Sapeva bene che, se avesse fatto più attenzione a quello che mangiava, non si sarebbe ridotta così. Ma si sarebbe trasformata in una palla da bowling piuttosto che rinunciare ai dolci e al fritto, e invece mangiare soia, tofu e centrifugati oscenamente disgustosi prendendo esempio da sua sorella. Si vive una sola volta. Che senso ha arrivare ai novant’anni senza aver gustato neanche una barretta di cioccolato e ritrovarsi ad avere la stessa faccia incartapecorita e lo stesso corpo cadente di quella che si è strafogata e ha goduto per tutta la vita dei piaceri culinari?
Certo, Brunilde aveva ragione a dire che è raro arrivare ai novanta se non si pensa a mantenersi in salute. Era molto salutare infatti il botox che le gonfiava gli zigomi.
Cinismo mattiniero, che schifoso compagno.
La giornata doveva cominciare con un sorriso. Sorrise. Allo specchio pareva un po’ stirato, ma poteva accontentarsi.