Big Apple

Titolo: Big Apple
Autore: Marion Seals
Serie: #1 Living NY
Editore: Self Published
Data: 20 gennaio 2016
Pagine: 468
Genere:  Contemporary romance

 

Dora e Lex. Assistente personale e grande capo.Giovane e ambiziosa, lei, miliardario e casanova, lui. Sì, avete ragione, gli stereotipi ci sono tutti, e… no, non è un romance come quelli che avete letto finora.

Sinossi

“Mi chiamo Dora Monroe, ho venticinque anni e vivo a New York. Che culo, direte voi.
Vivo nella parte brutta di New York: il Bronx.”
Fedora Monroe, per gli amici Dora, originaria del Connecticut, lavora in una famosa casa editrice della Grande Mela, come assistente personale del proprietario, in attesa della grande occasione.
“Speravo di farmi notare abbastanza in fretta, ma dopo ben 743 giorni – sì, avete letto bene, SETTE-CENTO-QUARANTA-TRE, li ho contati – ancora nessuno si è inginocchiato ai miei piedi per supplicarmi di correggere le bozze di chicchessia. Chi dovrebbe promuovermi? Il mio capo, ovviamente. Chi è il mio capo?”
Alexander Maximilian Stenton III, rampollo di una delle famiglie più ricche e in vista degli Stati Uniti, tanto bello e intelligente, quanto presuntuoso e dispotico.
“Il mio nome è Alexander Maximilian Stenton III, ma gli amici mi chiamano Lex e la ragione non me la ricordo più. Nasco in una famiglia alto-borghese, con infiltrazioni nobili da parte di madre. La mia bisnonna sposò un conte e questo fa di noi i privilegiati tra i privilegiati. Ovvio che non conterebbe un cazzo se non fossimo anche schifosamente ricchi.”
Ecco che, quando il romanzo di un’autrice di punta della casa editrice rischia di non essere pubblicato nei tempi previsti, Dora ha la possibilità di fare ciò per cui è nata: l’editor.
Da qui, complice un segreto professionale che se rivelato farebbe perdere milioni di dollari, le vicende di Dora e Lex si intrecceranno in un incastro (im)perfetto di emozioni: litigate, sesso sfrenato e un’antipatia reciproca saranno gli elementi costanti del loro rapporto.
A tutto questo si aggiungeranno le vicende dei loro amici e conoscenti che, tra situazioni pericolose e imprevisti comici, faranno da sfondo a un legame che andrà crescendo di giorno in giorno a dispetto dei due protagonisti.
Riusciranno Dora e Lex, così in apparenza inconciliabili, a trovare un punto di incontro? O il loro orgoglio e la diffidenza reciproca li allontaneranno per sempre?

Il primo capitolo di una nuova serie, autoconclusivo.

Estratti

Mi chiamo Dora Monroe, ho venticinque anni e vivo a New York. Che culo, direte voi.
Vivo nella parte brutta di New York: il Bronx. È il quartiere più pericoloso e io sono l’orgogliosa occupante di un piccolo appartamento che si trova molto vicino alla famigerata circoscrizione 41, la quale, vi informo, detiene il record cittadino di 26 crimini per ogni 1.000 abitanti; ma siamo ottimisti, i record sono fatti per essere superati. I tipi di reato contemplati vanno dall’omicidio alla rapina, passando per stupro, furto e aggressione. La triste realtà è che non ho i soldi per affittare qualcosa di meglio del cubicolo che occupo; la vita a New York è cara e io sto ancora restituendo il debito studentesco con il quale ho potuto pagarmi l’università. La tana, come la chiamo con affetto e rassegnazione, è situata all’ultimo piano di uno stabile tutto sommato ancora in buone condizioni. Persino il padrone di casa è il meglio che potessi trovare. Si chiama Luther, afroamericano enorme, sulla sessantina, ex pugile ed ex molte altre cose. Oramai in pensione non si dedica più alla precedente attività e, credetemi, è meglio così. L’aspetto positivo è che per insondabili motivi mi ha adottata fin dal primo momento. So che aveva una figlia che non ha più visto dopo la prima carcerazione e probabilmente io sono il suo succedaneo. Sospetto che il mio vivere quieto con il resto del quartiere trovi le sue fondamenta proprio in questo. Nessuno oserebbe mai dare fastidio a un’amica di Luther. Da parte mia, mi sono affezionata e spesso ceniamo insieme. Lui vive al pianoterra ed è un patito della cucina italiana, fa delle Fettuccine all’Alfredo per le quali gli perdoneresti persino una strage. Non è un uomo di cultura, non intesa nel senso stretto del termine, ma ha una viva intelligenza ed è in grado di affrontare, a modo suo, molti argomenti, anche complessi. In fondo, con tutte le esperienze che ha maturato, è un laureato della vita. La nostra intesa è ancora più strana se si pensa che io provengo da una famiglia medio-borghese, adorata figlia unica di due docenti universitari.
Mio padre, Byron Edward Monroe, è laureato in fisica delle particelle ed è un uomo tutto d’un pezzo, anche se i detrattori lo definirebbero rigido o, quelli più audaci, addirittura bigotto. Nessuno, mai, in sua presenza, perché ha la lingua più arguta e tagliente di tutto lo Stato; ho visto di persona gli effetti che può provocare e, dovete credermi, ho passato la mia vita a evitare di esserne il bersaglio. Per il resto è un ottimo genitore, ma lo dico ora che vivo lontana da lui. Mia madre, Fiona Anastasia Kindell, è l’esatto opposto: laureata in letteratura inglese, ex figlia dei fiori, ha una smodata passione per la vita, che ho ereditato. Non ho mai capito come possano stare insieme e l’unica volta che l’ho chiesto alla mamma mi sono dovuta sorbire un discorso pallosissimo sullo Yin e sullo Yang, nonché una descrizione delle loro prodezze sessuali che, per una vergine sedicenne, equivalgono a una seduta di infibulazione.
Comunque alla fine ha vinto lei. Sono cresciuta tra i libri, ce n’erano ovunque a casa nostra nel Connecticut, persino sopra la lavatrice. Mentre le mie compagne di scuola si toccavano pensando al leader della boy band del momento, io lo facevo inventandomi torride fantasie su Heathcliff o, peggio, su Mr. Darcy. Questo non mi ha mai resa molto popolare. Quando ho perso la verginità, sul sedile posteriore di una vecchia station wagon, l’ho fatto con cognizione di causa. Volevo liberarmi dell’odiosa membrana e ho chiesto l’entusiastica collaborazione di un ragazzo che, l’indomani, sarebbe partito per il college. So che dovrei dire il suo nome, ma a malapena ricordo il suo viso. Comunque è stato fantastico e quando, al momento del mio primo orgasmo vaginale, ho urlato, lui è stato molto dolce: mi ha tappato la bocca e ha continuato a spingere, prendendosi il suo. Dopo ci siamo salutati come se fossimo appena usciti da un revival di film Disney e non l’ho visto mai più. Missione compiuta.
Da allora, ogni tanto, mi concedo una sveltina con qualcuno, giusto per mantenere un buon livello ormonale. Il problema, perché c’è sempre un problema, è che io non mi innamoro, o meglio: quelli di cui penso di essere innamorata non mi attirano per niente, e quelli con cui mi piace fare sesso non mi ispirano romanticismo. Qualche gene di mio padre deve essersi insinuato nella mia altrimenti perfetta doppia elica e ho la tendenza a trattare le relazioni come particelle elementari da studiare. Utilizzando il metodo scientifico, insomma.
Quindi, pur essendo un passabile esemplare della specie, e pur avendo una spiccata attitudine alla comunicazione interpersonale, gli uomini scappano. Mio padre sostiene la teoria che si sentano castrati dalla mia intelligenza superiore, mia madre sostiene invece che devo migliorare la mia tecnica nella fellatio. Si può dire che entrambi, a modo loro, sono sempre pronti a rinforzare la mia autostima.
Tuttavia, ci sono delusioni peggiori nella vita. Per esempio la carriera.
I miei genitori l’hanno presa bene quando ho annunciato il mio trasferimento nella Grande Mela. Mio padre si è fatto il segno della croce e mia madre mi ha regalato una confezione magnum di profilattici all fruits. Due giorni dopo la mia partenza, la mia vecchia camera è stata trasformata in una palestra zen, dove la mamma fa yoga con le amiche.
Lavoro in una grossa casa editrice, di quelle, per intenderci, dove rischi di portare un caffè alla Rowling o a Ken Follet. Ed è esattamente questo che faccio principalmente: porto il caffè, oltre che tenere l’agenda del mio capo.
Voi direte: “È la fine che fanno quelli che non sono voluti andare al college.”
Col cazzo! Io ci sono andata al college, eccome! Laureata a pieni voti a Yale in letteratura contemporanea.
So cosa state pensando, ora: “Un’altra scrittrice frustata, una che non ce la farà mai perché il talento c’è solo nei suoi sogni più sfrenati.”
Sbagliato! Non so scrivere e non mi piace scrivere. Però so leggere e migliorare quello che gli altri scrivono. Mi piacerebbe lavorare nell’editing ed è per questo che ho accettato il lavoro, per nulla gratificante, di assistente personale.
Speravo di farmi notare abbastanza in fretta, ma dopo ben 743 giorni – sì, avete letto bene, 
sette-cento-quaranta-tre, li ho contati – ancora nessuno si è inginocchiato ai miei piedi per supplicarmi di correggere le bozze di chicchessia.
Chi dovrebbe promuovermi? Il mio capo, ovviamente. Chi è il mio capo? Alexander Maximilian Stenton III. Giuro, si chiama proprio così. Trentacinque anni portati benissimo, moro, un fisico da reato, occhi verdi come le brughiere irlandesi e due fossette da mordere. Per il resto uno stronzo anaffettivo totale. Di lui si sa solo… tutto. È l’argomento principale di conversazione delle ragazze che lavorano con me e vi posso garantire che le imprese lavorative, e non, di Lex sono ormai leggende metropolitane. Lex? Sì, Lex. Per gli amici ovviamente, e altrettanto ovviamente io lo chiamo Mr. Stenton.
Indefesso lavoratore di giorno, tombeur de femmes di notte. Attricette, modelle e affini saltellano allegramente sul contenuto dei suoi pantaloni, anche quello descritto come la quintessenza della perfezione, sia in termini qualitativi che quantitativi. Diffido sempre dei prodotti troppo pubblicizzati. Faccio spesso la battuta: “Dura lex sed lex”, riferita a lui, ma chi non conosce il latino e non è sveglio con i doppi sensi a sfondo sessuale, raramente la capisce.
Tutte lo adorano e confessano i loro sogni bagnati con lui come protagonista. Questo perché non sono costrette a conviverci tutti i giorni e perché si limitano a osservarlo tipo “tigre in cattività”: bellissima, certo, ma prova a entrare nella gabbia con lei! Per la prima volta nella vita ho qualcosa per cui le altre donne mi invidiano e neanche la desidero.
Però non mi voglio lamentare: c’è chi sta peggio di me, in qualche paese sperduto del mondo, senza acqua, né cibo. Accetto solo questo come paragone.

Il mio nome è Alexander Maximilian Stenton III, ma gli amici mi chiamano Lex e la ragione non me la ricordo più. Nasco in una famiglia alto-borghese, con infiltrazioni nobili da parte di madre. La mia bisnonna sposò un conte e questo fa di noi i privilegiati tra i privilegiati. Ovvio che non conterebbe un cazzo se non fossimo anche schifosamente ricchi. Mio padre, omonimo ma con un numero in meno, è il più grande figlio di puttana mai conosciuto. È uno squalo, ha triplicato il patrimonio in borsa e, ancora oggi a più di sessant’anni, continua a mietere vittime tra i branchi di ventenni che gli orbitano attorno. Mia madre, Cornelia Eva Winter, è la ricca figlia di un nobile inglese decaduto che però ha portato una ventata di vera classe in famiglia. Ha fatto, dello scovare un marito ricco, uno sport olimpico e ha mantenuto sempre il giusto decoro di fronte alla vagonata di corna che si porta dietro sin dal viaggio di nozze. Ha indottrinato così bene mia sorella Priscilla alla nobile arte, che ora lei è pronta per accalappiare qualcuno che le permetterà di prendere il posto che le spetta in società. Uno dei motivi, tra le altre decine, per cui sono contento di essere nato maschio. Anche se, per una volta, questo fa di me una preda.
Da sette generazioni tutto ciò che tocchiamo diventa oro. Non c’è settore di investimento che non abbiamo sperimentato e nel quale non abbiamo avuto successo. Come se non fosse abbastanza essere miliardari, abbiamo anche un codice genetico da paura, che si traduce in un aspetto molto piacevole. Il che è un eufemismo perché io, senza modestia dato che non è nella mia natura, sono un notevole esemplare di maschio caucasico. Dopo la laurea in Economia a Harvard, ho deciso di investire il mio indubbio talento nell’editoria e, in poco meno di quindici anni, ho costruito un impero che abbraccia altri settori, in prevalenza telecomunicazioni, e che attualmente vanta più introiti di molti staterelli africani.
So cosa state per dire: “Grazie al cazzo, facile quando si ha la pappa pronta!”
Be’, se pensate che abbia solo dovuto schioccare le dita e godere dei frutti, vi sbagliate, e di grosso.
Mi sono fatto da solo, io.
Una volta laureato ho preso la mia parte di eredità della nonna paterna, dodici miserabili milioni di dollari, e ho lavorato sodo. Per cui, tutto ciò che ho ottenuto da quel punto in poi me lo sono guadagnato. Ora ho trentacinque anni, amo il mio lavoro e quando avrò tempo mi troverò una moglie alla mia altezza: giovane, bella e di classe, oltremodo feconda e con l’unico obiettivo di essere esattamente come io la voglio. In realtà ho solo l’imbarazzo della scelta all’interno di un nutrito gruppo di single di buona famiglia. Le madri non vedono l’ora di infilarle nel mio letto, già peraltro frequentato, con discrezione, da molte di loro. La mia vita è quindi programmata fin nei minimi dettagli, da sempre.
Ecco perché ora sono incazzato. Per la prima volta sto provando che cosa significa essere sull’orlo di un potenziale insuccesso.
L’unico con cui posso prendermela è me stesso; lo sapevo che non avrei dovuto mischiare il lavoro con il sesso. Poi, ovvio, è colpa anche di Cloe, stronza, puttana e cagna.
Otto anni fa, quando ho comprato i diritti per un’assurda storia di vampiri mutanti, chi se lo sarebbe aspettato tutto quel successo? Eppure il primo libro della Ferbes è andato a ruba. Scritto di merda, con errori che neanche un bambino avrebbe commesso se non sotto psicofarmaci, lo avevo dato per l’editing a una giovane stagista che è riuscita a renderlo presentabile, usando uno stile nuovo e fresco. Da allora si è creato un eccellente connubio: la Ferbes mette le sue assurde idee e Cloe le rende pubblicabili. Milioni di dollari di introiti e tutti soddisfatti. L’errore è stato scoparmi la ghostwriter. Dalla mia c’è l’assoluta consapevolezza di essere stato chiaro fin dal principio: nessun coinvolgimento romantico, mai. Ma ho sopravalutato Cloe. La sua appartenenza al genere femminile la rende una predatrice e i suoi “sì, certo, sono d’accordo” erano bugie premeditate. Per circa tre anni abbiamo fatto sesso regolarmente, almeno una volta a settimana, quando lei mi portava il nuovo capitolo del libro in editing. Andava bene a tutti e due, per cui ero sereno. Poi, due mesi fa la Ferbes ha consegnato l’ultimo manoscritto e, come sempre, è partita la campagna pubblicitaria internazionale per creare la giusta aspettativa tra le fan. Al solito ho contattato Cloe e da lì in poi è iniziato l’incubo. Quando è venuta nel mio appartamento ha dichiarato che si sarebbe rifiutata di fare l’editing se prima non avessimo sistemato la questione tra noi due. Alla mia domanda: “Quale questione?” si è trasformata in una erinni assetata di sangue, il mio. La faccio breve perché il ricordo è ancora traumatico: voleva diventare la mia fidanzata e ha preteso che ci sposassimo entro la fine dell’anno. Quando le ho offerto più soldi, mi ha tirato addosso un preziosissimo manufatto egizio dal valore incalcolabile che, per fortuna, sono riuscito a prendere al volo.
Psicopatica stronza!
L’ho sbattuta fuori di casa utilizzando un vocabolario meno forbito del solito e licenziata in tronco, ricordandole il contratto firmato e la clausola che la vincolava al silenzio assoluto sul suo ruolo.
Ora non mi resta che trovare un sostituto, ho solo tre mesi di tempo prima della data prevista per la pubblicazione del libro.
L’insuccesso non è contemplato.

Perché leggere il romanzo?

Esploriamolo assieme all’autrice!

    • Quando hai progettato questa storia?

Poco dopo l’estate del 2015, volevo scrivere un brevissimo racconto su un miliardario che, invece di essere tenebroso e vincente, riceveva una lezione da quella che non era la solita ragazzina di turno, vergine e ingenua. Mi sono fatta prendere la mano.

  • Sei stata ispirata da qualche lettura, vecchia o recente?

Io credo che tutto quello che leggiamo ci ispiri sempre, per cui non riesco a identificare una lettura in particolare.

  • L’ambientazione è reale o di fantasia?

È un romance contemporaneo per cui direi… verosimile, nel senso che possono realmente esistere un miliardario come Lex e una donna come Dora, solo che è molto difficile incontrarli.

  • Il romanzo è autoconclusivo o rientra in una serie/saga?

È autoconclusivo. Fa parte di una serie, la Living NY, che vedrà alcuni personaggi presenti in Big Apple come futuri protagonisti, ma i libri possono essere letti indipendentemente.

  • Parlaci dei personaggi e definiscili brevemente con qualche aggettivo. Qualcosa che li renda irresistibili agli occhi del lettore.

Lex, ossia Alexander Maximilian Stenton III, è il classico rampollo di buona famiglia, arrogante e anaffettivo, repubblicano fino al midollo. Crede di essere il padrone del mondo e di poter ottenere tutto quello che vuole solo perché lo desidera. Ha talento negli affari e non è abituato a perdere, mai. Dora è una ragazza libera, colta e profondamente democratica. Ha saldi principi morali su quello che è giusto fare, tuttavia è decisamente sboccata quando è arrabbiata e non riesce a tenersi un uomo perché in fondo non crede nell’amore. Insieme risultano molto divertenti, in un gioco di contrasti. Un punto di forza di questo libro sono anche tutti i personaggi di contorno che rendono la storia più ricca.

  • Qual è il pubblico ideale per questa storia?

È un testo per tutti o per fasce di lettori ben precise, ad esempio per adolescenti, adulti o è pensato per un pubblico prevalentemente femminile o maschile? È un romance quindi, se dovessimo seguire gli stereotipi di genere, dovrebbe essere destinato a un pubblico femminile, tuttavia è anche molto divertente e irriverente, il che lo rende una lettura, tutto sommato, più unisex di altri testi.

  • Che tipo di linguaggio ha scelto, per questo romanzo?Colloquiale, forbito, diretto ecc…?

Il libro è scritto in prima persona e presenta entrambi i pov, di lui e di lei. Il linguaggio cambia a seconda dei personaggi che parlano.

  • Che cosa desideri comunicare al lettore? C’è un significato nascosto, sotto la trama?

Pur nascendo come una lettura di intrattenimento, parla dell’inevitabilità del cambiamento e della potenza dell’amore, capace di far accettare anche le distanze più incolmabili.

  • Hai usato una tecnica particolare, per scrivere questo romanzo?

È presente la rottura della quarta parete con i protagonisti che si rivolgono direttamente al lettore.

L’autrice si presenta
Marion Seals è nata a luglio del 1970, vive in Sardegna con il marito, due figli e una tartaruga di nome Dago.
Lettrice compulsiva, alterna la scrittura al suo ‘vero’ lavoro ossia la psicologa. Ama tutto ciò che è diverso e detesta tutto ciò che è troppo ‘normale’.
Un giorno si è svegliata e ha deciso di scrivere un libro. Tutto qui.