L’amore è un cerchio

Titolo: L’amore è un cerchio
Autore: Coralba Capuani
Editore: Parallelo45 edizioni
Genere: romanzo storico
Formato: cartaceo
ISBN: 978-8898440955
Pagine: 388
Prezzo: 13 euro

 

LA TRAMA

Le vicende di una famiglia alto borghese ripercorrono la storia d’Italia: il borgo gentilizio che era ai primi del Novecento Castellammare Adriatico e in cui tre cugine – Matilde, Nina e Maria – conducono una vita spensierata, fatta di frequentazioni a teatro, concerti, e sogni di un futuro roseo. L’allontanamento per molti anni che le vedrà cambiate, insieme ai vari mutamenti sociali dell’epoca: la nascita di Pescara nel ’27 che ingloberà Castellammare Adriatico, la loro adorata città, la metropoli culturale che era la Napoli degli anni Venti e Trenta e che Matilde sceglierà come città d’elezione, dove vivrà anche la sua tormentata storia d’amore con Emanuele. Ma anche l’avvento del Fascismo che porterà alla Seconda Guerra Mondiale.  Le tre donne si rincontreranno solo dopo molti anni ritrovandosi ormai adulte e disincantate dalla vita che ha spazzato via tutti i loro sogni facendone tre anime sofferenti, anche se ognuna a modo proprio. Un po’ di serenità in famiglia si riaffaccerà con l’entrata in scena di due uomini: Alfredo Gentili, un agiato scapolone di paese, e Giuseppe, amico di vecchia data di Matilde. Due personaggi che, in un modo o nell’altro, scombussoleranno la vita delle protagoniste. L’atmosfera tutto sommato leggera delle prime pagine virerà bruscamente in tragedia con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Gli stenti che la famiglia si troverà a patire, la partenza per il fronte di Giuseppe e del giovane fidanzatino di Lia, nipote di Matilde, insieme ad altri tragici eventi getteranno di nuovo la famiglia nell’abisso. Ma proprio quando il destino sembra voglia accanirsi ancora con cinica crudeltà su queste donne, ecco che, dopo i tragici anni di guerra, la speranza di riaffaccerà non solo nei loro animi, ma anche in quelli di tanti italiani che hanno dovuto subire le brutture di un conflitto che li ha gettati dentro un meccanismo “che si è cibato di loro, stritolandoli, fagocitandoli e spargendo i loro resti per il mondo”. Perché, in sostanza, non si può scindere la storia del singolo individuo con la Storia che “è fatta di gente comune e di storie semplici, storie a cui nessuno dà importanza, ma che significano tutto per la vita di una piccola comunità”.


UN ESTRATTO

Le ore trascorse ad aspettare l’alba su quella nave semide­serta sembravano non passare mai, per questo aveva ripensa­to ai fatti accaduti negli ultimi tempi, alla decisione di fuggire via come una ladra, nel cuore della notte.
Un po’, a pensarci adesso, si vergognava delle bugie raccon­tate ai genitori, del modo truffaldino con il quale aveva detto addio alla madre, tacendole la verità. Però allo stesso tempo era consapevole che la fuga fosse l’unico modo per salvarsi da un matrimonio combinato. Non era mica una stupida, l’ave­va capito che il padre non aveva mollato il progetto di farla accasare quanto prima. Dopo quello che era accaduto con il figlio dell’avvocato, le botte, le minacce, le punizioni, i rim­proveri, suo padre aveva rincominciato a trafficare alle sue spalle e chissà, magari, forse si era già accordato con la fami­glia di qualche altro giovanotto di buona società. Tutti quei discorsi sottovoce interrotti al suo irrompere nella stanza, gli strani cenni tra i genitori e poi, di nuovo, lo sconosciuto tro­vato a discorrere con il padre in salotto. Questa volta un uomo di mezz’età, forse il padre del buon partito da affibbiarle, o, peggio, proprio lui lo scapolo da ammogliare. No, non pote­va vivere nell’angoscia di trovarsi davanti a una decisione già presa: «Matilde, tua madre e io abbiamo deciso che ti sposi, e presto. Questo è il tuo futuro marito».
Ed ecco che si sarebbe trovata di fronte uno sconosciuto, magari avrebbe avuto i denti storti, il naso schiacciato, la pelle foruncolosa e grassa, l’alito cattivo, un pancione flaccido, due gambette corte e tozze, i capelli radi e unticci.
No, nessuno l’avrebbe interpellata in merito: «ti piace Ma­tilde? Guarda che se non è di tuo gradimento non devi sposarti per forza».
Non esisteva la benché minima possibilità di replica, che fosse d’accordo o meno avrebbe dovuto accasarsi con il fidan­zato che avrebbe scelto suo padre.


Booktrailer

 

 

https://www.amazon.it/Lamore-cerchio-Coralba-Capuani/dp/8898440952/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1525723437&sr=8-1&keywords=l%27amore+%C3%A8+un+cerchio&dpID=51Ahj4F-r5L&preST=_SY344_BO1,204,203,200_QL70_&dpSrc=srch

 

Perche leggere il romanzo?

Esploriamolo assieme allautrice!

 

  • Buongiorno, Cory, quando hai progettato questa storia?

La genesi del romanzo è stata piuttosto lunga, all’inizio (siamo più o meno attorno al 2005) il testo si componeva di un centinaio di pagine scarse e faceva parte di un testo più ampio, ma poi, con la partecipazione al concorso IoScrittore del gruppo Mauri Spagnol, e, soprattutto, dopo la sua sonora bocciatura (ampiamente meritata, dato che all’epoca ero agli esordi di quest’avventura di scrittrice e non avevo ancora una tecnica matura in grado di sostenere la complessità della trama che volevo sviluppare), il testo ha subito una miriade di cambiamenti fino a che non è arrivato alla versione attuale. Una versione che mi è costata “lacrime e sangue”, soprattutto per quanto riguarda la parte storica che mano a mano, dall’autunno del 2015 fino a maggio 2016, si è ampliata e approfondita fino ad arrivare al testo che è adesso in pubblicazione. E la colpa è soprattutto di alcuni bibliotecari che ogni volta che mi recavo presso la sede dell’Agenzia per la Promozione Culturale del mio paese per dei controlli sui dati storici inseriti, tiravano fuori dal cappello, a mo’ di novelli Mary Poppins, nuovi testi che finivano per influenzare (leggi: cambiare, approfondire, riscrivere) ciò che avevo già messo su carta. Insomma: peggio di un parto plurigemellare!

  • Sei stata ispirata da qualche lettura, vecchia o recente?

Più che dalle letture sono stata ispirata dalle storie che mia zia mi raccontava quando ero piccola. Le vicende della fantomatica zia napoletana (zia di mia zia), donna ricca che gestiva uno dei più prestigiosi e lussuosi alberghi della città, frequentato anche dalla famiglia reale, le conoscenze altolocate che aveva, tra cui i maggiori esponenti della cultura napoletana dell’epoca (siamo attorno agli anni Venti e Trenta), la conoscenza della scrittrice Matilde Serao, del Maestro Giacomo Puccini e di tanti altri, accendevano la mia fantasia di bimba. Poi, una volta adulta, l’eco di quei racconti ormai sbiaditi dal tempo, sono diventati il sostrato sul quale ho basato la mia storia. Questo per quanto riguarda le vicende dei protagonisti principali del romanzo, diversa è invece l’ispirazione storica che sta alla base del romanzo: per quella, invece, mi sono ispirata a diversi saggi storici di autori locali, spesso, e a torto, considerati “minori”.

  • L’ambientazione è reale o di fantasia?

Diciamo che l’ambientazione è per la maggior parte reale, i luoghi in cui il romanzo è ambientato, infatti – la Napoli degli anni Venti e Trenta, il comune di Castellammare Adriatico, situato alla sinistra del fiume e facente parte della provincia di Teramo, e Pescara, alla destra, che invece dipendeva da Chieti e che poi, nel ’27, si fusero in un unico comune –, sono reali. Mentre Sant’Atto in Valle, il paesino immaginario in cui la maggior parte della storia si svolge, è, appunto, un luogo inesistente. Anche se, in verità, per la sua creazione mi sono ispirata a due comuni realmente esistenti e che sono situati nella mia zona – la provincia di Teramo, la Val Vibrata per l’esattezza – e che ho voluto idealmente fondere in un unico paese. Così, giusto per lasciarmi quel margine di spazio sufficiente a non imbrigliare la mia fantasia di scrittrice; volevo, in pratica, non essere costretta a descrivere un luogo specifico con tutti i suoi dettagli e riferimenti, ma inventarmi un luogo solo mio, seguendo l’immagine che avevo in mente e che, secondo me, poteva calzare meglio mettendo in risalto le storie che volevo raccontare.

  • Il romanzo è autoconclusivo o rientra in una serie/saga?

Come ho accennato all’inizio, il romanzo faceva parte di un unico grande testo comprendente più storie che poi ho deciso di scorporare facendone romanzi singoli. Per ora di quel testo iniziale sono stati scritti e pubblicati due romanzi: Giù all’Ammeriche, testo auto pubblicato su Amazon nel 2014, incentrato sul fenomeno dell’emigrazione italiana in America, e, infine, L’amore è un cerchio, il romanzo di cui vi sto parlando. Per terminare l’ideale trilogia manca l’ultimo romanzo, che ho abbozzato ma che è ancora in fase di rielaborazione, e che non penso di terminare a breve. Infine, per rispondere alla tua domanda, posso dire che comunque non si tratta di una vera e propria saga o serie, in quanto i romanzi sono perfettamente autonomi, ma per me che li ho scritti è come se facessero parte di un unicum. E poi non è escluso che prima o poi scriva un altro testo che leghi tutti e tre, come era, appunto, il progetto iniziale. Si vedrà.

  • Parlaci dei personaggi e definiscili brevemente con qualche aggettivo. Qualcosa che li renda irresistibili agli occhi del lettore.

La protagonista assoluta del romanzo è Matilde, una donna libera, emancipata, ribelle, decisamente moderna per l’epoca in cui il romanzo è ambientato. Sin dal momento in cui entra in scena la vediamo opporsi alla cultura patriarcale che voleva la donna sottomessa dapprima ai voleri del padre e poi a quelli del marito. Invece Matilde non teme di sfidare l’ira paterna ribellandosi con ogni mezzo fino a scappare da casa per sfuggire a un matrimonio combinato, rifugiandosi a Napoli, dove condurrà una vita libera sia economicamente, con la conduzione di un albergo di lusso che le consentirà di mantenersi da sola, sia da un punto di vista comportamentale, frequentando teatri, persone di cultura, ma anche da un punto di vista sessuale, in quanto non teme di abbandonarsi completamente all’amore. A fare da contrappunto alla sua figura ci sono Maria e Nina, cugine di Matilde, e Luigina, zia di Matilde e madre di Maria. Nina e Maria sono entrambe vittime di una cultura che relegava la donna a un ruolo subalterno rispetto all’uomo, ma anche vittime di un destino crudele che peggiora la loro condizione già precaria di donne fragili e sottomesse. Maria in particolare è la classica dona remissiva, colei che non ha una volontà propria e che sacrifica i propri desideri per accondiscendere ai voleri della famiglia, subendo la volontà di Luigina, madre autoritaria che impone la propria volontà sulla figlia che obbedisce acconsentendo a un matrimonio combinato senza neppure un accenno di ribellione o protesta. Anche Nina è una vittima, ma per motivi diversi. Non è di carattere debole come Maria, e, anzi, per certi versi è accomunata a Matilde da uno stesso desiderio di ribellione contro i ruoli classici a cui la donna dovrebbe aspirare: vale a dire quelli di moglie e madre. Nina, invece, almeno con la fantasia, si ribella a queste imposizioni sognando di diventare una famosa cantante lirica, e nei suoi sogni pieni di luci, applausi e paillettes, guarda alla figura di Lina Cavalieri, famosissima soprano dell’epoca, ma anche emblema di libertà, soprattutto sessuale, per la vita che conduceva e considerata, al tempo, piuttosto scandalosa. E sarà proprio Nina a pagare maggiormente lo scotto del destino, quando i suoi sogni di diventare una donna libera andranno in frantumi – come la sua sanità mentale – dopo lo scoppio di una bomba. A causa di quest’evento la donna perderà la ragione passando dai sogni infantili agli incubi che popoleranno la sua mente per tutto il resto della sua vita; relegata ai margini della società, della famiglia, e persino della casa, passerà la vita tra una mansarda e un ospedale psichiatrico, lontano dagli occhi della gente, e, soprattutto, dai suoi familiari.
Tra i protagonisti maschili, invece, vi è Emanuele, grande amore di Matilde, ma anche gran bel figlio di buona donna… Emanuele è il classico Peter Pan, irresponsabile, egoista, egocentrico, innamorato di se stesso e del fascino che sa di saper esercitare sulle donne. Perciò se ne approfitta in ogni modo finché, anche per lui, arriverà il momento di crescere. Invece Giuseppe, amico di vecchia data di Matilde e spasimante sempre respinto, è un uomo gioviale, ironico e dalla battuta sempre pronta, ma anche amico e marito fedele. Nonostante in alcune parti del libro possa apparire un po’ “leggero”, si rivelerà invece uomo di valori forti e persino eroe. Infine abbiamo Alfredo, la parte buffa della maschilità. Uomo goffo, timido, imbranato, sempre succube dei voleri altrui, però anche lui, alla fine, si rivelerà una specie di piccolo “eroe” del quotidiano.

  • Qual è il pubblico ideale per questa storia? È un testo per tutti o per fasce di lettori ben precise, ad esempio per adolescenti, adulti o è pensato per un pubblico prevalentemente femminile o maschile?

In realtà L’amore è un cerchio è un testo trasversale che può assecondare i gusti di lettori diversi, piacendo sia a un pubblico femminile che a uno maschile. Forse l’analisi del mondo femminile, con le discriminazioni che le donne erano costrette a subire all’epoca, insieme alla ribellione della protagonista principale, unita alla fragilità e a un certo modo di soffrire e vivere l’amore, risultano più attraenti per un pubblico femminile, mentre, magari, l’aspetto più strettamente storico può risultare maggiormente interessante per gli uomini. Ma io non mi limiterei a certe distinzioni perché mi sembrerebbe di ripetere i vecchi stereotipi maschilisti che vedono l’universo femminile legato al mondo del sentimento, della sfera famigliare, e, al contrario, quello maschile legato a temi più “seri” come quelli sociali, politici, la guerra, la storia ecc.
Anche la fascia d’età è abbastanza ampia, andando da un lettore adolescente fino a uno più maturo. Però se dovessi delineare un pubblico ideale lo individuerei tra le donne dai 25 in su. O almeno quella è la fascia di lettori che avevo in mente scrivendo la storia.

  • Che tipo di linguaggio ha scelto, per questo romanzo? Colloquiale, forbito, diretto ecc…?

Né troppo forbito, ma neppure colloquiale. Un linguaggio semplice, direi, senza troppi fronzoli o giri di parole, perché, in fondo, rispecchia anche il mio modo di essere: diretta e verace. Poi, certo, in alcuni punti ho voluto giocare con parole più ricercate o desuete, giusto per dare quel tocco antico, “vintage” si potrebbe dire, a un romanzo ambientato in un’epoca passata, lontana dal nostro modo di pensare e dal linguaggio che usiamo tutti i giorni. Ma, ripeto, si tratta solo di tocchi, pennellate qua e là giusto per aggiungere un po’ di colore.

  • Che cosa desideri comunicare al lettore? C’è un significato nascosto, sotto la trama?

In primis metterei l’analisi del mondo femminile, che affronto in tutti i miei romanzi, anche perché scrivere romanzi storici ambientati nelle più svariate epoche del passato mi dà l’opportunità di analizzare certi stereotipi maschilisti che, purtroppo, ci siamo portati dietro fino a giorni nostri. Perché è un illuso chi pensa che certi atteggiamenti discriminatori verso noi donne siano solo retaggi del passato, altrimenti non si spiegherebbero fenomeni come il femminicidio, che nasce e si nutre dell’idea che la donna sia solo un oggetto, una “cosa” di proprietà dell’uomo e che esiste solo nel rapporto di coppia. Così, quando questo rapporto va in crisi, si preferisce “annientare” la partner che, secondo la mentalità distorta di quegli uomini, non può vivere la propria femminilità al di fuori di quel rapporto malato: o mia o di nessuno, per dirla terra terra.
Quello che voglio dire nei miei testi, è che quel meccanismo di emancipazione femminile si deve essere inceppato lungo il cammino, producendo certi rapporti distorti, perciò mi pare interessante analizzare la relazione uomo-donna partendo dal passato, sperando che possa aiutarci a riflettere a e ripensare a un modo più maturo di considerare i ruoli del maschile e del femminile.
Ma il messaggio più forte che vorrei passasse al lettore, scrivendo romanzi storici, è proprio una riconsiderazione dell’idea di storia. Premetto che ai tempi del liceo, dell’università, e della scuola in genere, io odiavo la storia. E la odiavo perché mi veniva insegnata in maniera meccanica, pertanto la storia, per me, era solo un’odiosa sequela di date, nomi, luoghi, battaglie, numero di vittime e feriti, stop. Non un accenno di vita, di motivazioni profonde, di come, in breve, certi avvenimenti si fossero ripercossi sulla società, sulla popolazione, e, infine, sul singolo individuo. Quindi la storia che ci hanno insegnato a scuola diventava un omogeneizzato insipido pronto all’uso, non c’era bisogno che noi studenti ci sforzassimo di capire, di “sentire”: così era e basta. Invece è stato solo molto tempo dopo che ho capito cosa fosse veramente la storia, e l’ho capito seguendo Ulisse, la meravigliosa trasmissione di Alberto Angela, un genio della divulgazione e della comunicazione storico-culturale a mio avviso. Da lui, in particolare, ho preso quella visione dal basso, quella degli ultimi strati della società, per intenderci, degli individui, cioè, che sui libri di storia non ci finiranno mai, ma dai quali, invece, si comprende davvero cos’è la storia, che effetti ha avuto sulla società e sul singolo individuo. Si capisce, in breve, perché certi avvenimenti portarono ad altri, quali furono le cause scatenanti, le ragioni profonde. Perché, in sostanza, non si può scindere la storia del singolo individuo con la Storia che “è fatta di gente comune e di storie semplici, storie a cui nessuno dà importanza, ma che significano tutto per la vita di una piccola comunità”.
Ma è anche un voler recuperare certi avvenimenti relegati in secondo piano dalla storia ufficiale, quando non rimossi del tutto in quanto troppo scomodi. Come accennavo sopra, la storia che ci viene propinata è un Plasmon ben confezionato, e se non ti fai domande, se non vai oltre, se non approfondisci da solo, rimani a quel livello superficiale, a quel blob artefatto e ben confezionato che, però, non sa di niente. È anche questo quindi il mio intento, quello cioè di far riscoprire certi avvenimenti “dimenticati”, ma anche quello di avvicinare un pubblico non appassionato di saggi e di storia a questi aspetti della cultura. Ecco, se riuscissi anche solo a spingere un lettore ad approfondire, a passare dall’emozione della storia romanzata, a un testo di saggistica, beh, quella sarebbe la vera vittoria.

  • Hai usato una tecnica particolare per scrivere questo romanzo?

No, non direi. La narrazione è tutta in terza persona, se si eccettuano alcune incursioni in prima persona in particolari parti del testo, come, per esempio, quando una delle cugine prende la parola per esprimere la visione distorta che ha del mondo e che dipende dalla malattia mentale. In questo caso far esprimere il disagio direttamente dalla voce della protagonista mi sembrava più incisivo. Magari la particolarità del testo sta nel doppio registro stilistico utilizzato o dall’impiego del dialetto. Per quanto riguarda il primo punto diciamo che essendo un testo che abbraccia la storia di una famiglia, quindi con molti personaggi diversi tra di loro per cultura, ceto sociale, modi di pensare, età e così via, ho voluto usare registri stilistici diversi per dare un quadro il più variegato possibile. Inoltre dato che il periodo preso in considerazione è piuttosto lungo, va dai primi del Novecento al secondo dopoguerra, ho voluto esprimere tutte le sfumature della vita: tragiche, serie, comiche, tristi, malinconiche, buffe ecc. Per questo, nonostante alcune vicende drammatiche segnino la famiglia già nella prima parte del romanzo, ho voluto trattarle con un tono più leggero, cercando in un certo senso di sdrammatizzare quanto possibile. Mentre nelle seconda parte del testo, che si pone nel mezzo del secondo conflitto mondiale, con tutto ciò che questo evento comporta – disagi economici, scarsezza di viveri, miseria, lutti, combattimenti, partenza dei personaggi maschili per il fronte, bombardamenti e distruzioni varie – ho dovuto imprimere, per forza di cose, un cambiamento deciso verso il tono drammatico.


Lautrice

Coralba Capuani vive a Nereto, in provincia di Teramo. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara, riprende a scrivere dopo una lunga pausa proprio in occasione della stesura della sua tesi di laurea in Letteratura Americana. Nel 2011, dopo la frequentazione di un corso di giornalismo e comunicazione web, approfondisce la passione per la scrittura iniziando a dedicarvisi seriamente. Pubblica il suo primo romanzo sulla piattaforma di Amazon, mentre nel 2015 esce Il cuore aspro del Sud per la Butterfly edizioni. Nello stesso anno il suo racconto Il riscatto della zanzara si classifica tra i finalisti del concorso «130 righe» indetto da Il Resto del Carlino. finalista al Concorso Letterario Nazionale «Cinquantesimo Marcelli» e vincitrice di vari concorsi letterari per racconti, nel 2016 è tra i 10 vincitori del concorso IoScrittore del gruppo Mauri Spagnol. Insieme alle colleghe scrittrici Monica Bauletti e Laura Bellini cura il blog Letterando dedicato alla scrittura e in particolare agli esordienti. Ama i gatti, i tè speziati, il pilates e, da poco, anche lo yoga. Si definisce “scrittora” e nella sua pagina ufficiale spiega il perché (forse).
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