Colazione da Lamù: La rappresentazione del cibo negli animanga. Parte seconda.

 

 

Colazione da Lamù: La rappresentazione del cibo negli animanga

di

Claudio Cordella

Seconda parte

Qui trovi la prima parte.

[pullquote] Lo smodato ingozzarsi delle ricchezze della natura è un’azione indebita per cui alla fine bisognerà per forze di cose pagare un prezzo.[/pullquote]

Kaonashi, il Senza Volto, è uno degli innumerevoli spiriti che fanno la loro comparsa nella Città incantata di Miyazaki, un film che del resto si presenta come una sfilata antologica del folklore dell’arcipelago nipponico. La piccola Chihiro riesce a farsi assumere dalla maga Yubaba, la quale la manda a lavorare presso il suo esclusivo stabilimento termale (onsen-machi) ma prima si premura di derubarla del suo vero nome e di assegnarle la nuova l’identità di Sen. Si tratta di un espediente magico per legarla a sé e trasformarla in una docile schiava. Un trucco che in questo caso non funziona molto bene, perchè Sen continua a ricordare di esser stata  Chihiro, un tempo, il che le offre una chance di poter sfuggire un giorno dalle grinfie di questa strega. Ma questo non significa affatto che per Chihiro/Sen la vita sia semplice. Umana finita nel mondo degli spiriti, per lei sin da subito i problemi non mancano, la fatica è tanta, inoltre il suo fisico non è abituato a sopportare un impegno simile. Durante una notte di pioggia, mentre è intenta a svolgere le pulizie, intravede aggirarsi nel giardino una bizzarra figura, scura e silenziosa. Dopo aver salutato con un rispettoso inchino di prammatica il nuovo venuto, la fanciulla lascia aperta una porta affinché possa entrare a suo piacimento. Sfortunatamente, agendo in tal modo, commette un errore madornale, scambiando un intruso per uno dei tanti ospiti di riguardo della sua padrona, difatti il Senza Volto non rientra nel novero della rispettabile clientela dell’onsen.

 

 

La sua prima vittima, la cui assimilazione è necessaria affinché cessi di esprimersi tramite flebili mugugni, è un ranocchio che non riesce a resistere al richiamo di un pugno di pepite luccicanti. Seppur titubante, costui si avvicina a quello che ritiene essere solo un innocuo riccone nottambulo, per di più pronto a elargire una generosa mancia. Dopo di che finisce con l’essere divorato in un sol boccone, permettendo così al Kaonashi di iniziare a parlare impiegando la sua voce squillante. Per la precisione quest’intrusione avviene dopo la guarigione di una divinità fluviale, che ha pagato il suo breve soggiorno in oro. Quest’anfibio, in segreto e tutto da solo, si stava aggirando dopo l’orario di chiusura fra le vasche termali sperando di poter scovare qualche pagliuzza aurea, sfuggita a Yubaba e caduta tra gli interstizi degli assi di legno del pavimento. Un agire che già di per sé lo qualifica come un avido, un tipo di personalità che incarna il bersaglio ideale per gli attacchi del mutaforma. Costui, dopo aver fatto un sacco di trambusto e aver tirato giù dal letto tutti quanti, costringendoli a preparargli un bagno e a riaprire le cucine fuori orario, tra l’euforia generale distribuisce a piene mani con prodigalità grandi quantità d’oro mentre si ingozza senza alcun ritegno. Vassoi stracarichi di pesci e di arrosti prelibati, una visione pantagruelica che ricorda quella del ristorante spettrale dal quale eravamo partiti, vengono sollevati verso di lui mentre al contempo tali offerte culinarie sono ricompensate con un’abbondante pioggia di pepite. Siamo davanti al medesimo comportamento che avevamo già avuto modo di osservare nei riguardi dei genitori di Chihiro, puntualmente anche in questo caso il Senza Volto subisce una progressiva metamorfosi che diventa mano a mano sempre più terrificante. A ogni piatto che inghiotte, il suo corpo molliccio si ingigantisce sempre di più, alla fine arriverà non solo a sembrare un mostro ma anche a comportarsi come tale. Al contempo le maestranze dell’onsen si pentiranno amaramente di aver assecondato ogni suo capriccio, osannandolo come “signor di ricca mano”. Solamente Chihiro/Sen, una volta posta dinanzi alla rituale offerta aurea (preceduta da quella di un piatto stracolmo di prelibatezze), a differenza dei suoi colleghi saprà opporre un deciso rifiuto. Di quelle scintillanti schegge auree la ragazzina, che desidera solo ritornarsene sana e salva nel suo mondo in compagnia della sua famiglia, non sa proprio che farsene. Senza contare come a quel punto sia diventato chiaro a tutti il pericolo insito nell’accettare l’oro del Kaonashi, ovverosia il rischio di finire direttamente nel suo stomaco dopo averlo raccolto. La verità è che lo spirito è malato, deve purgarsi da tutte le sostanze nocive con cui ha infettato il suo organismo, una cura che sarà resa possibile dal provvidenziale dono di una divinità fluviale (la medesima di cui poc’anzi si è fatto cenno) che la ragazza aveva ricevuto in dono tempo addietro e che ha appena impiegato per aiutare un amico in difficoltà. Fa assumere la medicina anche al Kaonashi che, grazie a questo potente emetico, vomita uno dopo l’altro qualunque cosa abbia avuto la malaugurata idea di ingerire. Per fortuna le sue vittime vengono risputate, parecchio disorientate ma ancora vive, eppure la terapia potrà dirsi completa solo con l’allontanamento del Senza Volto dall’onsen, una fabbrica del lusso e del consumismo voluto dall’avida Yubaba, la quale ha un qualche genere di effetto nefasto su di lui. Il che non è poi strano come si possa pensare, la sua natura sembra essere mal definita, una maschera stilizzata legata a un corpo costituito di ombre che nasconde un’enorme bocca, di conseguenza è ben possibile che le sue inclinazioni, per il bene o per il male, così come il suo aspetto mutino a seconda delle influenze esterne a cui si ritrova a esser sottoposto. Lo stesso oro che ha gettato a manciate a destra e a manca, come nel miglior racconto di fate, non tarderà a mostrare la sua vera natura illusoria ridiventando della fanghiglia puzzolente. La morale della favola è semplice, il desiderare di più di quel che ci è necessario – in un’ottica che ha a che fare più con la critica al turbo-capitalismo che con la dietetica – reca sempre con sé grossi guai. Si tratta sempre di uno smodato ingozzarsi delle ricchezze della natura, un’azione indebita per cui alla fine bisognerà per forze di cose pagare un prezzo. È impossibile, come invece pensa Yubaba, sperare di poter guadagnare qualcosa di buono da un processo simile.

 

 

Questo emetico è stato molto utile a Sen, non solo ha purgato il Senza Volto ma poco prima la sua assunzione è stata determinante per il salvataggio del fedele Haku, dato che pure lui aveva mangiato ciò che non doveva, nel suo caso un sigillo magico. Incidentalmente, quella medesima azione di rigetto servirà a espellere e poi a schiacciare uno spiritello messo dalla fattucchiera dentro il corpo del drago per poterlo meglio controllare. Questo prodigioso medicamento era venuto in suo possesso in seguito a un processo di purificazione. Una divinità fluviale, erroneamente scambiata per uno spirito del cattivo odore, era stata trasformata in un cumulo di immonda sozzura ambulante per colpa dell’inquinamento a cui è stato soggetto il suo alveo. Da un certo punto di vista è come se fosse stato costretto a ingerire tutte quelle scorie, quei residuati della nostra società del benessere, con cui è stato ingozzato a forza. Sen, in prima fila nel complesso processo di lavaggio nelle vasche termali, si meriterà un premio speciale per il suo impegno e per la sua solerzia, al contempo il kami potrà andarsene via libero da quella fetida spazzatura che lo tormentava. L’atto dell’ingozzarsi diventa la rappresentazione simbolica di un certo modo di intendere l’economia e lo sfruttamento delle risorse naturali, si tratta di una fame senza freni che consuma ogni cosa, non produce vera ricchezza ma solo un benessere illusorio. Miyazaki, tramite una velata metafora, ci ripropone nella Città incantata la sua tradizionale poetica in difesa dell’ambiente e ostile a qualsivoglia speculazione. Comunque non si creda che l’anziano sensei (maestro) sia una specie di fautore di un’ascesi monacale, non ci sarebbe niente di più sbagliato nel pensare questo, è piuttosto il sostenitore di un corretto mangiar sano. La stessa Chihiro, pur evitando di cadere vittima dell’ingordigia che ha colpito i suoi genitori, non può astenersi completamente dal nutrirsi: una prima volta, su istigazione di Haku, mangia un boccone (un’unica bacca sembrerebbe) all’unico scopo di non svanire nel nulla e conservare un corpo fisico nel mondo degli spettri. Successivamente, nel corso della mattina seguente alla sua assunzione, consuma il suo primo vero pasto, si tratta di polpette di riso (onigiri) che il drago ha preparato per lei e che la piccola mangia una dopo l’altra tra copiose lacrime. La situazione del tutto nuova in cui è piombata risulta essere sin troppo traumatizzante per lei, il futuro le sembra carico di incertezze e di pericoli, ben presto però dovrà prendere servizio presso l’onsen. In alcun modo può permettersi di presentarsi al lavoro digiuna e priva di forze. Mentre di notte, al termine del loro turno, sarà un’amica di Haku a offrirle un dolcetto, molto probabilmente un mochi, cioè un composto fatto di riso glutinoso pestato e impastato. In seguito, dopo essere partita dall’onsen con l’intenzione di completare il processo di guarigione di Haku e volendo allontanarne di lì il Senza Volto, la ritroviamo al termine di un lungo viaggio in treno a casa della gemella di Yubaba, Zeniba. Quest’ultima dimostra di essere assai più gentile della sorella e offre alla sua visitatrice e ai suoi amici una lauta merenda a base di té e dolci. A ogni modo si tratta di un ristoro veloce, Chihiro chiede all’anziana signora di aiutarla nella preparazione del té e subito dopo manifesta apertamente tutte le sue preoccupazioni, essendo in ansia sia per la sorte del drago che per quella dei genitori. Dal suo punto di vista non è certo il momento di darsi alle gozzoviglie a base di saccarina e di teina, l’azione del nutrirsi in questo caso passa nettamente in secondo piano. Una simile sobrietà non è certo una novità introdotta dalla Città incantata, dato che esisteva già ai tempi dell’anime per la TV Arupusu no Shōjo Haiji (Heidi), diretto da Takahata ma al quale Miyazaki contribuì come responsabile dell’animazione.

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