Colazione da Lamù: La rappresentazione del cibo negli animanga. Parte prima.

 

Colazione da Lamù: La rappresentazione del cibo negli animanga.

Di

Claudio Cordella

(prima parte)

 

Per tutto il mese di aprile, il saggista e novelliere Claudio Cordella ci terrà compagnia con una dettagliata analisi dell’iconografia eno-gastronomica nella produzione fumettistica giapponese.

[pullquote]Mangiare alimenti d’origine ultraterrena reca sempre con sé delle conseguenze assai spiacevoli. [/pullquote]

Seppur lo storico del cinema Antonia Costa nel suo La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock. Il senso delle cose nei film (2014) abbia trascurato sia gli anime sia ciò che è commestibile, preferendogli bicchieri, tazze, tazzine, caffettiere e cucine, ritengo che l’analisi dell’iconografia eno-gastronomica presente nei manga (fumetti) e negli anime (cartoni animati) possa essere fruttuosa tanto quella degli oggetti in generale presenti nei film. In particolar modo, alla luce dei principi basilari del sapere interdisciplinare della visual culture (cultura visuale), del resto, quello di prendere in considerazione un’immagine al di là del suo valore artistico, è uno dei punti di forza di quest’ultima: «Per quanto riguarda le immagini, gli studi sulla cultura visuale si fondano innanzitutto sulla possibilità di prendere come oggetto d’analisi qualsiasi tipo di immagine che possa essere considerato come culturalmente rilevante, senza limitarsi allo studio di quelle artistiche». Andrea Pinotti, Antonio Somaini, Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Torino 2016, p. 38.

Tralasciando il manga Food Wars! Shokugeki no Soma (Food Wars!), scritto da Yūto Tsukuda e disegnato da Shun Saeki (avvalendosi della collaborazione della chef Yuki Morisaki), nonché della sua controparte animata, sin troppo dipendente dalla moda televisiva delle lotte fra chef, constatiamo come il cibo possa assumere un ruolo rilevante nella trama anche in ambientazioni assai diverse da quella strettamente culinaria. Si consideri, ad esempio, quel che succede quando gli sventati genitori ghiottoni della piccola Chihiro, la protagonista del bellissimo film d’animazione di Hayao Miyazaki Sen to Chihiro no kamikakushi (La città incantata), oltrepassano, senza rendersene conto, il confine che separa il nostro mondo da quello degli spiriti. Sconsiderati come sono, prendono posto a sedere in un ristorante stranamente deserto eppure traboccante di succulente vivande d’ogni sorta, iniziando a servirsi da soli da quelle montagne di leccornie senza fare troppi complimenti. Per altro si tratta di uno spettacolo incredibile, degno del fiabesco Paese della Cuccagna.

 

 

Una natura morta di carattere gastronomico nella quale non predominano montagne di frutta e di verdura, quanto piuttosto piramidi gargantuesche di polli, i quali vengono garantiti come tenerissimi, pesci giganteschi e tranci di carne arrostita dalla natura non ben definita ma dall’aspetto sugoso e invitante. La figlia, in una qualche oscura maniera, percepisce come vi sia qualcosa di anomalo in quell’inconsueta atmosfera spettrale che li avvolge e vorrebbe scappar via a gambe levate. Inutilmente tenta di avvertirli, temendo grossi guai in arrivo da quelle silenziose viuzze disseminate di trattorie, laddove non si vede aggirarsi anima viva, nessun cliente seduto ai tavoli a pranzare, né un cuoco ai fornelli impegnato a cucinare, né un cameriere intento a servire. Purtroppo Chihiro è solo una ragazzina e le sue esortazioni rimangono inascoltate dagli adulti che giudicano infondati i suoi timori. Al contempo suo padre, ingozzandosi spudoratamente come la sua dolce metà, pensa di poterla tranquillizzare menzionando i suoi soldi e le sue carte di credito come se fossero dei potenti talismani capaci di risolvere qualsiasi inconveniente.

 

 

Una fiducia nel potere del denaro che non ne considera affatto i limiti intrinseci, dato che ci sono diverse cose, come il cibo destinato ai kami (spiriti, dei), che i mortali non possono sperare di poter acquistare come se si trattasse di una merce qualsiasi. Al contrario il corpulento padre di Chihiro, senza pensare alle conseguenze delle sue azioni, corre verso la fonte di quel buon odorino che ha fiutato trascinando con sé i suoi cari. Il calare del crepuscolo palesa però la vera natura del luogo in cui hanno osato sostare, i primi spiriti iniziano a fare la loro comparsa tra le vie e i locali che, all’imbrunire, si animano di sinistre presenze non-umane. Al contempo i due adulti, essendosi comportati alla stregua di porci ingordi, vengono trasformati in suini destinati al macello, lasciando da sola Chihiro ad affrontare una realtà incomprensibile, quanto spaventosa.

 

 

Un esito così disastroso non dovrebbe sorprenderci molto. Mangiare degli alimenti d’origine ultraterrena – basti pensare al racconto biblico della Genesi e al suo proibito “frutto della conoscenza”, oppure alla greca Proserpina e alla melagrana che finì per assaggiare nell’Ade – reca sempre con sé delle conseguenze assai spiacevoli. Specularmente nella mitologia nipponica – così come ci viene tramandata nel Kojiki (un testo composto tra VII e VIII secolo) – la dea Izanami, “la Femmina che invita”, muore per le lesioni causate dall’aver partorito il dio del fuoco. Discesa nel reame sotterraneo delle “terre delle acque d’ocra”, non può più ritornare in superficie perché incautamente si è seduta alla mensa di quei luoghi tenebrosi (yomi no kuni, il mondo dei morti). Quando il fratello-amante Izanaki (o Izanagi), “il Maschio che invita”, incapace di rassegnarsi per la sua dipartita cerca di riportarla in superficie, si vede negata ogni possibilità di riaverla con sé. Si tenga presente che il Kojiki (“Vecchie cose scritte”, “Cronache di antichi avvenimenti”) non è un testo qualsiasi, ma è la prima opera in assoluto della letteratura giapponese e si reputa che sia stata messa per iscritto da un nobile di corte, tale Yasumaro, nonché che la sua compilazione sia stata terminata nel 712: Kojiki. Un racconto di antichi eventi, a cura di Paolo Villani, Milano 2006, pp. 39-41; Massimo Raveri, Il pensiero giapponese classico, Torino 2014, p. 46.

Ebbene, se il musicista Orfeo della classicità si era impegnato in una missione analoga per recuperare la sua bella, rovinando poi ogni cosa voltandosi a guardarla poco prima di aver raggiunto la luce del sole, pure qui avviene qualcosa del genere. Izanami, dopo aver confessato di essersi già nutrita dei cibi dell’oltretomba, dice a Izanagi che proverà ugualmente a convincere il “signore delle acque ocra” a lasciarla andare, ma nel frattempo non dovrà provare a guardarla. Il dio però non riesce a trattenersi, purtroppo quel che scorge tra le tenebre rischiarate dalla magia è un corpo corrotto dai vermi. Questa sbirciatina provoca la feroce reazione della dea, che si sente umiliata e non poco irritata, a quel punto il fratello non può far altro che darsi a una fuga precipitosa. Il risultato finale di questo folle inseguimento sarà la definitiva separazione della dimensione dei vivi da quella dei trapassati, instaurando al tempo stesso una sorta di gara tra Izanami e Izanagi, con la prima che si ripromette di soffocare la vita degli esseri viventi e il secondo che, al contrario, giura di garantirne la nascita onde consentire la sopravvivenza del genere umano. Le due entità divine creatrici, le quali già di per sé incarnano i principi taoisti dello yin (femminile, freddo, ombra, debolezza, etc.) e dello yang (maschile, cacaldo, luce, forza, etc.), non solo hanno già generato le isole dell’arcipelago giapponese così come le altre divinità del pantheon scintoista, ma si rendono garanti della dualità Vita/Morte e di tutte le proibizioni a essa relative. In particolar modo, per quel che interessa a noi, significa che nulla di ciò che appartiene allo yomi no kuni, in quanto culmine dell’impurità, può essere assimilato senza subire conseguenze nefaste. A ogni modo l’eroina della Città incantata, per non scomparire come nebbia al sole e salvare la sua famiglia, deve per forza di cose spiluccare qualcosa di proveniente da quella realtà per potervi rimanere con un corpo materiale. Agisce in tal modo perché questo è il consiglio che riceve dal saggio Haku, un drago che le è amico, di conseguenza il suo masticare è il prodotto di circostanze specifiche ben determinate e non ha nulla a che spartire con l’ingozzarsi. In breve, nell’economia filmica di questo lungometraggio il cibo assume un significato simbolico pregnante, sia quando viene stigmatizzato come nocivo, sia all’opposto quando è indicato come salutare.

 

SEGUITECI, A METÀ

 SETTIMANA CI SARÀ LA PROSSIMA PUNTATA!

2 Risposte a “Colazione da Lamù: La rappresentazione del cibo negli animanga. Parte prima.”

  1. Articolo molto interessante, soprattutto perché si collega ad altri riferimenti culturali.
    Adoro Miyazaki e la città incantata; ricordo ancora come ero rimasta sconvolta dalla trasformazione dei genitori di Chihiro!

    1. Grazie, Valentina. L’articolo è piuttosto lungo e articolato, e ritornerà in più puntate, nei prossimi giorni. Spero che continuerà a piacerti! ^_^

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