IL VOLTO DI AYANAMI: i simulacri femminili negli animanga – Parte seconda

IL VOLTO DI AYANAMI: i simulacri femminili negli animanga

di Claudio Cordella

Editing Luisa Paglieri

 

SECONDA PARTE

 

 

Bentornati, cari lettori appassionati di manga e di fantascienza! Il nostro saggista Claudio Cordella ci sta raccontando della creazione di esseri artificiali di tipo umanoide, e illustra in quale modo vari autori, nel corso del tempo, abbiano trattato questo tema. E che cosa accade, se questi robot, creati spesso per servire gli esseri umani, diventano perfino capaci di sentimenti?

Federica Leva

 

Al contrario la creatura di Metropolis è poco più di una bambola meccanica, un involucro vuoto dalle capacità vampiresche, in grado di prendere da Maria le fattezze umane per potersi mimetizzare, così come le necessarie conoscenze per farsi passare per lei. A questo punto sembrerebbe che questi simulacri femminei oscillino in continuazione tra il ruolo di ingannatrici, come se fossero delle dark lady da film noir, a quello di salvatrici, capaci di dar prova di un’incrollabile fede nell’avvenire, talvolta associato ad un amore parimenti sconfinato per il protagonista di turno. Si potrebbe ipotizzare che la ginoide si ritrovi al centro di sentimenti ansiogeni e problematiche relative all’essenza della natura umana, in misura se possibile ancora maggiore rispetto al più comune androide. Basti pensare, questa volta in ambito occidentale, all’importanza attribuita alle ginoidi all’interno della recente serie televisiva Westworld (Westworld-Dove tutto è concesso), ispirata ad un omonimo film degli anni ’70 a firma di Michael Crichton. Tra le creature robotiche di un incredibile parco a tema, in cui dei turisti facoltosi possono recarsi per dare sfogo alle loro più sfrenate fantasie a base di sesso e violenza, sono proprio due ginoidi (Dolores, Maeve) le prime a prendere coscienza di sé e quindi a ribellarsi all’ingiusta condizione di servaggio che gli è stata imposta.  Per altro simili tematiche vengono affrontate di petto in Gunnm (Alita l’angelo della battaglia) di Yukito Kishiro, un manga che nel corso del tempo si è imposto come un successo di carattere globale. Ricordiamo qui come sia stato realizzato un lungometraggio dal vivo, un progetto che si è concretizzato solo dopo diversi anni di gestazione, Alita: Battle Angel (Alita-Angelo della battaglia), per la regia di Robert Rodriguez, mentre al lontano 1993 risale invece il mediocre OAV Gunnm (Battle Angel Alita) di Hiroshi Fukutomi. Quel che vediamo raffigurato nelle tavole iniziali di Alita ricorda la testa calva di un fantoccio, senza capelli e scrostata ma inequivocabilmente femminile, la prima impressione è quella di trovarci difronte ad un rifiuto come tanti altri, quasi si trattasse di un manichino rotto scartato dagli arredatori di un grande magazzino. Niente però potrebbe essere di più lontano dal vero, all’interno di quel guscio ovoidale si nasconde un cervello, preservatosi per secoli in stato di animazione sospesa in attesa di esser riportato alla vita. Tale è l’incipit del capolavoro di Kishiro, uno dei manga più celebri degli ultimi decenni, la cui protagonista è una combattente i cui resti vengono casualmente recuperati in un’immensa discarica. Un luogo miserabile in cui povertà e violenza dominano incontrastate, una distopia (utopia negativa) che incarna simbolicamente tutti i mali della nostra contemporaneità (criminalità, inquinamento, sfruttamento), nelle cui viscere però si possono cercare antiche reliquie tecnologiche altrimenti difficilmente rintracciabili sulla faccia della Terra. Quest’inferno al tempo stesso rappresenta una vera manna per un collezionista come il dottor Daisuke Ido, un chirurgo che si è specializzato nel curare i cyborg, che nel corso di una delle sue cacce al tesoro si è imbattuto in quel che rimane della sventurata Yoko. Una volta portatosi a casa i suoi miseri resti riesce nell’impresa di ridestarla, seppur debba constatare come la sua paziente soffra di amnesia, non ricordandosi da principio nemmeno il proprio nome. Ido decide allora di ribattezzarla Gally, Alita nella versione nostrana che segue la traduzione statunitense, assemblandole un nuovo corpo cibernetica un pezzo alla volta.

Non trascorre molto tempo che Gally/Alita inizia a mostrarsi insofferente, il buon dottore è senz’altro molto premuroso nei suoi riguardi, eppure il suo atteggiamento è così iper-protettivo che questa cyber-fanciulla si sente trattata un po’ come una figlia ma anche come una graziosa bambolina. Come se fosse un balocco privo di volontà, un giocattolo per adulti da abbellire ed accessoriare, buono per essere esposto nel salotto di casa ma incapace di formulare idee proprie, così come di avere desideri e aspirazioni personali. Un modo di vedere le cose assai limitante e decisamente maschilista da parte di Ido, del resto questo medico nasconde un lato oscuro, non per niente è stato esiliato da un’utopistica megalopoli aerea, Salem, ritrovandosi a vivere nello squallore sottostante di quella che viene invece chiamata Città Discarica. Tra l’altro se Ido ha scovato la sua figlia meccanica fra il pattume, pure lui è arrivato sulla superficie terrestre assieme a tutti gli altri scarti della sua città natale. La quale tiranneggia senza alcun riguardo gli abitanti che vivono sotto di lei, costretti a vivere nella miseria più abbietta alla stregua di schiavi senza diritti, così come si libera senza troppi complimenti di quei cittadini salemiti che vengono giudicati come problematici, arrivando a lanciargli nel vuoto assieme ai rifiuti. In tal frangente Ido, sopravvissuto a questa brutale forma di punizione draconiana, seppur da principio poco vezzo ad aver a che fare con loro, si è adattato ad operare i cyborg. Inoltre, onde appagare gli aspetti più nascosti e perversi della sua anima, lavora part-time in qualità di cacciatore di taglie, ovverosia operando con la qualifica di Hunter Warrior. In assenza di un sistema giuridico degno di questo nome, senza un corpo di polizia, dei giudici e degli avvocati, sulle teste dei criminali, indipendentemente dalla natura del reato commesso, viene posta una taglia. A questo punto questi segugi possono dar loro la caccia e ucciderli, consegnandone poi le salme alle autorità per il riconoscimento e il relativo pagamento.

Si tratta di un mestiere adatto ad una personalità border line, pronta a cogliere al volo l’opportunità di poter infierire sul prossimo a norma di legge. Quando Alita scopre tutto questo non solo trova il modo di aiutare il suo benefattore, il quale è sulle tracce di una pericolosa pluriomicida, ma comprende pure che la lotta ha il potere di risvegliare quella parte del suo essere che altrimenti rischierebbe di rimanere sopita per sempre. Dopo questa singolare epifania, avvenuta nel bel mezzo di un combattimento, prende con risolutezza una grave decisione iniziando ad esercitare il duro mestiere di Hunter Warrior, confrontandosi con la peggiore feccia criminale che si possa immaginare. Sperando al contempo di venire a sapere qualcosa di più sul suo passato, onde svelare i non pochi misteri che avvolgono la sua perduta identità. Tanto per cominciare Alita conosce istintivamente il Panzer Kunst, un’arte marziale originaria di Marte, laddove da tempo l’umanità è riuscita ad insediarsi, di conseguenza è assai probabile che sia il pianeta rosso la sua patria e che in precedenza sia stata una guerriera professionista; spunti tutti quanti successivamente approfonditi nei sequel Gunnm Last Order (Alita Last Order) e Gunnm Mars Chronicle (Alita Mars Chronicle).

È la speranza di poter riuscire un giorno a rispondere a tutti gli interrogativi che la riguardano che spingono l’eroina di Kishiro all’azione, dandole la forza di intraprendere una carriera affatto piacevole e priva di pericoli. Senza contare di come per lei sia indispensabile diventare il più possibile autonoma dal suo genitore adottivo. Venir ridotta al rango di un fantoccio agghindato per lei è inammissibile, farlo vorrebbe dire condurre un’esistenza umiliante, passiva e priva di stimoli. Di conseguenza la rivendicazione di un’intrinseca soggettività, di una spiccata personalità che esige dignità al di là delle apparenze, viene proclamata con forza. Su questa falsariga si muove Alita, la quale ha sempre lottato per comprendere se stessa. Inoltre, dato che per costei il corpo è poco più di un abito che può sostituire a piacimento, è ovvio che la sua dimensione psichica assuma di conseguenza una valenza tutta speciale dato che la sua fisicità è qualcosa di così mutevole. Si pensi solo che al termine del manga Last Order Alita si sdoppia, una sua versione di carne e sangue rimane sulla Terra mentre al contrario un suo alter ego interamente cibernetico si dirige verso lo spazio verso nuove battaglie. Invece il team di fumettiste conosciuto con il nome collettivo di Clamp, ben noto anche nella nostra penisola, ha realizzato con Chobiittsu (Chobits) un gioiello della letteratura designata, in cui le questioni sentimentali dei personaggi si intrecciano con le tematiche relative all’alienazione provocata dall’abuso delle neo-tecnologie.

In Chobits gli odierni personal computer sono sostituiti da androidi e ginoidi, i cosiddetti persocom, mentre le persone preferiscono  interagire con loro piuttosto che con i loro simili. Una storia d’amore con uno di questi simulacri è possibile, a patto però di esser disposti ad affrontare innumerevoli difficoltà e a non trattarli come dei meri oggetti. Il problema con le Clamp è che non riescono a spiegarci concretamente come dovrebbe essere strutturata un relazione affettiva con un persocom, perché se trattare questi robot come delle bambole gonfiabili ne causa la formattazione (con conseguente perdita di memoria), al contempo come può evitare simili controindicazioni una coppia di innamorati? La scelta pruriginosa di collocare il tasto di accensione della persocom Chii, l’indiscussa protagonista di Chobits, nei suoi genitali rappresenta un rafforzativo dell’imperativo “non toccare”. Dal momento della sua accensione il suo padrone deve scordarsi di quel che la sua bella ha nelle parti basse, perché sfiorarla ancora una volta in quella zona così delicata le sarebbe fatale. Un appello al rispetto si dirà, un modo per evitare di avere a che fare con una nuova specie di donne-oggetto di plastica, schiave sessuali assemblate in fabbrica per soddisfare gli appetiti dei maschi. Si tratta senz’altro di considerazioni del tutto legittime e condivisibili, le quali però non mi sembra che cancellino l’altrettanto indiscutibile presenza di un certo romanticume, melenso quanto sessuofobico. All’interno del quale il contatto fisico diventa incompatibile con l’amore vero e di conseguenza dev’esser bandito, mentre al contempo la purezza d’animo viene identificata con l’astinenza sessuale. Dunque se un umano si innamora di un persocom dovrà adeguarsi e scegliere la castità, proprio in nome dei sentimenti che dice di provare per quella macchina antropomorfa. A tal proposito, quale contraltare alla rimozione della sessualità di Chobits, potremmo citare lo scioccante romanzo di Richard Calder Dead Girls (Virus ginoide) del 1992, nel quale le sventurate fanciulle colpite da una strana pestilenza si trasformano progressivamente in bambole. Simulacri frutto di una nanotecnologia fuori controllo che le ha private pian piano della loro umanità mutandole in affascinanti, quanto mentalmente instabili, ginoidi note con il nome di Lilim. Questa metamorfosi le rende sia delle paria agli occhi degli altri tanto quanto il fulcro di inconfessabili fantasie, coltivate proprio da quei fanatici che non perdono mai l’occasione di dimostrare il loro odio nei riguardi delle suddette Lilim. Adolescenti non prive di tratti vampireschi, destinate a diventare il principale veicolo di diffusione di quella malattia che le ha stravolto l’esistenza, guardate con stupore e al tempo stesso con disgusto dai loro coetanei. A dirla tutta, sembra quasi che nel preciso momento in cui scrittori, fumettisti e registi facciano entrare in scena delle creature artificiali, non importa se generate dalla manipolazione della carne, del metallo oppure di entrambi, quando arrivano a specificarne la natura femminile riescano ad aggiungere una specie di “giro di vite” alle loro creazioni. Nel caso di Sky Doll, gioiello della letteratura disegnata di Alessandro Barbucci e di Barbara Canepa, tutto questo salta immediatamente agli occhi dato che il regime liberticida che opprime il pianeta Papathea è una grottesca teocrazia. Una perniciosa alleanza tra potere religioso e mass-media, in cui il popolino credulone viene raggirato da miracoli fasulli, effetti speciali realizzati ad arte negli studi televisivi. Una tirannia bigotta che ha creato delle ginoidi, chiamate Sky Doll, per permettere ai sudditi maschi della papessa Lodovica di sfogare la loro lussuria senza commettere peccato. Su Papathea solo le Sky Doll sono autorizzate dalle corrotte gerarchie ecclesiastiche a poter indossare dei vestiti sexy, inoltre di norma vengono sfruttate per compiere i lavori ritenuti più degradanti, tra i quali spicca quello della prostituta.

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