La veglia (parte terza)

La veglia (parte terza)

di Luisa Paglieri

(In calce, le note dell’autrice)

Parte prima

Parte seconda

 

“Agnese fu introdotta per la seconda volta nella stanza dove dormiva Airaud (disse Gughi) e lo trovò profondamente addormentato com’era accaduto la sera precedente. A nulla valse scuoterlo o parlargli… la ragazza si abbandonò alla disperazione. Ora non aveva più nulla da vendere per ottenere un’ulteriore possibilità di vedere Airaud ma quand’anche avesse avuto qualcosa da dare alla padrona di casa sarebbe stato inutile. Il poveretto doveva essere stato stregato. Oppure doveva aver ingerito un narcotico talmente potente da condurlo alle soglie dell’insensibilità e della morte. Si spaventò a questo pensiero, sbiancò in viso e si accasciò sul letto.
In realtà cosa era accaduto? Un’ora prima, mentre calava la sera nel castello di Tchesalina, Airaud si sentiva sveglissimo e l’anziana consigliera di Tchesalina gli disse: “Non andate a dormire, cavaliere?”
“Vi dirò”, rispose lui “questa sera, sarà lo splendore della luna o qualche altra cosa, ma non mi viene sonno! E ho pure un cerchio alla testa… strano! A me il capo non duole quasi mai!” “Vi preparo una tisana…” disse la dama e poco dopo arrivò con una coppa fumante in mano. “Che cos’è?” Chiese il giovane.
“Una mistura d’erbe veramente miracolosa per il mal di capo. Bevete subito e andate a distendervi sul letto e tra pochissimo il dolore vi abbandonerà.”
Il giovane prese la coppa con mano ferma e la vuotò. Poi si diresse verso la sua camera, si tolse gli abiti e si mise a letto addormentandosi profondamente come era accaduto la sera precedente.
Poco dopo Agnese sopraggiungeva, scortata dall’ anziana dama, e dopo la partenza di costei, faceva inutili tentativi di svegliarlo e parlargli. Era fatica vana!
Agnese sconvolta stava distesa sul letto di traverso, si disperava e piangeva ma poi, ad un certo punto, si alzò a sedere, si asciugò gli occhi con la mano e ordinò a se stessa di stare tranquilla. Non era già stata aiutata in modo inaspettato? Perchè non avrebbe potuto succedere ancora? Qualcosa poteva inaspettatamente cambiare. Come aveva detto quella simpatica filatrice? “Fiducia, ragazza.” Scosse ancora inutilmente Airaud per fare un’ultima prova e visto che non otteneva risultati, si alzò, si sciacquò il viso con l’acqua della brocca che stava su un tavolino insieme ad una bacinella, si ravviò i capelli e si distese di nuovo sul letto tirandosi fino al mento una ricca coperta di seta imbottita. Stranamente si addormentò presto e con una certa tranquillità.
All’alba si alzò e si recò da Tchesalina per cederle lo scialle. Ma appariva più calma e la maga si chiese il perchè. Ormai cominciava a temere la strana mercantessa. Non l’aveva cacciata solo perchè desiderava ardentemente le sue bellissime vesti, ma i suoi sentimenti rasentavano l’odio e non vedeva l’ora di liberarsi di lei. Il fatto che la giovane apparisse più calma e non distrutta come il mattino precedente non le piaceva affatto. Forse aveva trovato un modo per eludere l’incantesimo del sonno stregato?
“Bene, mia cara, ora sarete soddisfatta… e ditemi, ora che avete fatto affari, ci lascerete presto?” Agnese la guardò e non rispose. Tirò fuori lentamente dalla tasca dell’abito la penna che le creature dell’aria le avevano donato.
Tchesalina guardò bene la penna e sbiancò. Quello era un oggetto magico introvabile, davvero raro… consentiva di ricevere un aiuto speciale anche se lei stessa non sapeva bene di quale natura… non poteva lasciarlo in mano a quella strana mercantessa che era venuta a spiare (ora era convinta di questo) in casa sua. E inoltre lo voleva assolutamente per sé.
“Mia cara, è un oggetto ben curioso quello che avete in mano! Un altro ricordo del vostro passato?” chiese beffarda.
“Oh no, signora, è solo un piccolo dono di un’amica…” rispose Agnese, “una fanciulla del mio paese con la quale sono cresciuta…”
“Via, cedetemi anche quella penna e vi ricompenserò bene! E’ un oggetto grazioso, insolito! Ma non chiedete un’altra volta di passare la notte con qualche cavaliere!” rispose pungente Tchesalina come se volesse colpire la sua ospite nell’onorabilità personale.
Non accetterò altro, signora, che poter passare qualche momento ancora con una persona il cui viso mi ricorda il mio passato, e unico amore”, rispose Agnese con dignità, “io tengo ai ricordi più che alle monete d’oro!”
Tchesalina avrebbe voluto schiaffeggiarla. Invece alzò una mano e fece per scagliare contro Agnese un sortilegio. Ma in quello stesso istante il filo al polso di Agnese parve brillare, simile all’argento , come se si fosse risvegliato sentendo un pericolo e si preparasse ad esercitare una protezione sulla persona che lo aveva con sé.
Furibonda Tchesalina rispose: “E sia, passerete per la terza volta la notte nella stanza di quel cavaliere. Ma domattina all’alba la penna sarà mia! E voi ve ne andrete!” Poi le voltò le spalle e andò in cerca della sua consigliera.
“Avete fatto bene” disse l’anziana dama, “a non lanciarle contro un incantesimo, il filo l’avrebbe protetta e forse avreste subito il colpo di ritorno che spesso la magia nera provoca se non è condotta alla perfezione!”
“Sai che voglio fare? Voglio chiederle il filo in cambio di un’altra notte al castello! E quando me l’avrà dato, sarà inerme e potrò schiacciarla!”
La vecchia dama scosse la testa. “Su di voi, temo, il filo non sarebbe efficace, non vi servirebbe. E lei non potrebbe darvelo neanche se volesse, in realtà non le appartiene! E se glielo prendeste o lei ve lo desse, forse tornerebbe da lei… in qualche modo. No, prendetele la penna e poi cacciatela via. Non potete fare nulla di più contro di lei.”
La dama si credeva davvero molto astuta, credeva di non sbagliare. Ma nessuno può prevedere tutte le evenienze e tutte le possibilità della vita. E a volte anche gli umani, anche quelli che non possono fare magie, hanno delle capacità da non sottovalutare.
Quella stessa sera infatti per la terza volta la dama cercò di propinare un beverone ad Airaud ma il giovane, vedendosi sempre offrire bevande non richieste cominciò ad insospettirsi.
La terza offerta era un liquorino di erbe che lei (la dama) voleva proprio che lui assaggiasse. Ma quella volta il cavaliere si portò appena il bicchiere alla bocca e vi intinse le labbra, riuscendo poi, non visto, a rovesciare il resto in un vaso di ceramica.
Poi si recò in camera sua come le altre volte. Il filtro magico agì in fretta su di lui e quelle poche gocce che aveva ingerito lo fecero subito addormentare, ma poco dopo aprì gli occhi e quale non fu la sua sorpresa nel vedersi davanti il viso ansioso di Agnese!
Dapprima, frastornato e ancor mezzo addormentato, non credeva ai suoi occhi! Ma Agnese gli spiegò tutto quello che era successo e il giovane si rese conto di essere stato incantato (o, come dicono adesso ‘sti ciula, manipolato) e quindi privato in pratica della sua volontà mentre perfino i ricordi sbiadivano via via nella sua mente!
Il resto della notte lo passarono non a fare quel che credete voi, razza di maliziosi”, disse Gughi, girando severo gli occhi intorno, “non ad amoreggiare, non era proprio il momento anche se erano felici di essersi ritrovati! ma lo passarono invece a fare i piani per la fuga e poi sfiniti si addormentarono, dovevano cercare di recuperare le forze in vista dell’evasione. Prima di dormire però Airaud aveva sistemato un mobile contro la porta della stanza. Se Tchesalina avesse avuto il minimo sentore del fatto che lui si era svegliato avrebbe potuto intervenire e in tal caso sarebbe stata almeno momentaneamente ostacolata.
E quella notte infatti qualcun altro aveva fatto fatica ad addormentarsi! Tchesalina era più inquieta che mai!!
Prima di stendersi sul letto aveva percorso a passo di marcia i corridoi del castello, su e giù per sfogare i nervi!


Voleva disfarsi dell’ingombrante presenza di Agnese e visto che dopo averle preso la penna la ragazza non le sarebbe servita più e non avrebbe avuto più nulla da darle, voleva mandarla via il prima possibile. Era strano che non potesse disfarsi di costei, che pure era nelle sue mani. Ma se era vero che era protetta dal filo (sì, doveva essere un pezzetto del filo della vita, chissà dove l’aveva preso) non avrebbe potuto annientarla con una magia. A meno che non ne esistesse qualcuna così speciale da passare attraverso quella forte protezione…
Quasi senza accorgersene, passeggiando nervosamente era arrivata davanti allo specchio dalla cornice dorata appeso nel corridoio che portava alla stanza di Arnaud, i suoi piedi l’avevano portata là. Alzò gli occhi verso la superficie lucida e agitò la mano davanti al vetro sfiorandolo appena.
Lo specchiò si riempì di figure, una folla di immagini di persone, figure del passato, sbiadite o talvolta ancora vivaci e possenti, figure del presente, traballanti perchè le loro scelte erano ancora aperte e mobili, figure del futuro, nebulose e informi, bisognose di una lettura molto sagace. Lo specchio era davvero affollato.
Lei scelse un filo conduttore e lo seguì.
“Voglio far qualcosa contro la mercantessa..” disse.
“Non puoi far nulla,” disse lo specchio, “forse dovresti chiederle il filo ma quello potrebbe ritornare da lei. Forse te lo darebbe in cambio dell’uomo che tanto desidera ma il filo potrebbe tornare…Tu potresti prenderlo e poi non trovarlo più mentre lei se lo ritroverebbe legato al polso… oppure tra le sue cose.”
“Ma non c’è modo di prenderglielo definitivamente?!”
“Sì, se te lo legassi al polso subito. Allora forse…e dico forse…non tornerebbe da lei…” “Lo farò domani! Glielo chiederò!”
“E’ quasi l’alba! E’ già tardi!” Disse lo specchio implacabile.
“Non per me!” Gridò lei e corse via.
“Ferma!” Gridò lo specchio, “non andare o sparirò… Lo vedo! Sarebbe rovinoso! io temo per me stesso! Prevedo la mia stessa rovina!”
“Che m’importa! Puoi crepare!” Disse Tchesalina con una risata cattiva.
E corse via verso la stanza di Airaud. Ma Agnese si era già svegliata…
Ad un certo momento la ragazza avvertì un rumore. Qualcuno spingeva la porta e il mobile posizionato contro di essa strisciava sul pavimento. Scosse Airaud.
“Sveglia, dobbiamo fuggire subito! Anche se è ancora notte.” Airaud fu in piedi in un attimo.
Agnese afferrò la penna che, come le era stato assicurato, doveva esserle di aiuto in caso di necessità. La agitò nell’aria.
Il rumore del mobile si intensificò. Di certo Tchesalina, non potendo entrare normalmente, avrebbe usato la magia. Era questione di attimi.
Agnese agitò la penna…non successe nulla.
Il rumore alla porta si faceva più forte… A breve Tchesalina sarebbe riuscita ad entrare oppure avrebbe aperto la porta con un incantesimo.
D’un tratto la ragazza udì un tac-tac- tac, un ticchettare che veniva dalla finestra. Si precipitò a guardare. E… meraviglia! Un enorme uccello rapace batteva con il becco contro i vetri. Agnese spalancò la finestra.
Il rapace le fece un cenno con la testa e Agnese capì che doveva salire sul davanzale e montargli in groppa. Poi l’uccello si allontanò di qualche metro ed apparve un altro rapace molto simile sul quale salì Airaud. Infine i due grossi animali si allontanarono in volo battendo le enormi ali.
Per pochi momenti essi volarono lungo le mura del castello, poi il rapace di Airaud si avvicinò ad una finestra e ruppe il vetro con il becco, facendo un movimento con la testa e indicando così al giovane di entrare.
Airaud era perplesso… doveva ritornare dentro, in braccio al nemico? tuttavia ubbidì e si lanciò oltre la finestra rotta ritrovandosi nel lunghissimo corridoio che portava a quella che era stata la sua stanza. Era più o meno nel punto dove si trovava lo specchio con la cornice dorata… allora comprese. Doveva fare un rumore o comunque creare un disturbo, fare una manovra diversiva che attirasse l’attenzione dei servi di Tchesalina impedendo loro l’inseguimento… ma non sapeva che fare! Avrebbe voluto appiccare il fuoco ma non aveva tempo e non disponeva di una pietra focaia. Vide su un tavolino un piccolo cofanetto, un soprammobile… lo prese e lo lanciò contro lo specchio che andò in frantumi facendo un gran fracasso… poi lo specchio parve emettere un lungo gemito lamentoso che lo fece rabbrividire… chi era mai ad essere imprigionato lì dentro? Ma non ebbe tempo di farsi molte domande, per cui, risalito sul davanzale, saltò in groppa al rapace che volò via distendendo le possenti ali e raggiungendo in breve il suo simile che portava con sé Agnese.
I due giovani non poterono quindi vedere che il castello crollava, si accartocciava su se stesso, andava in polvere… infatti non era un vero edificio ma una costruzione illusoria collegata alla magia… Tchesalina vide con disperazione che aveva sottovalutato la potenza dello specchio in cui era stato imprigionato uno spirito fatato ma era impotente a rimediare.
Il volo dei rapaci proseguiva… volavano molto in alto, sopra gli alberi più maestosi, le loro ali erano talmente grandi che sbattendole si creavano forti correnti d’aria, i due giovani vedevano che le cime degli alberi si piegavano e le fronde si agitavano sotto di loro.
Infine planarono dolcemente e atterrarono su di un prato… davanti al prato, poco lontano, c’era la casetta della filatrice. La coppia scese dalle piumate cavalcature.
“Grazie amici!” Disse Agnese e Airaud carezzò gentilmente i grossi colli ricoperti di penne. “Grazie! Non dimenticheremo mai il vostro aiuto!”
I due enormi rapaci parvero accennare un saluto con le teste dotate di temibili rostri, poi si volsero e si alzarono rapidi in volo.
Agnese si precipitò verso la casetta: davanti, immancabile, stava la filatrice intenta al lavoro. “Buongiorno!” disse Agnese e presentò il fidanzato che si inchinò cortesemente.
Agnese si avvicinò alla donna e si permise di sfiorarle la guancia con un bacio, la donna disse sibillina: “Scusa se non ti abbraccio ma non posso abbandonare la filatura se no tutto va a rotoli!!” “Ma non vi riposate mai?” Chiese Airaud incuriosito.
“A volte viene qualcuna delle mie sorelle a sostituirmi… ma ora sbrigatevi, andate a prendere i vostri cavalli, che pascolano tranquilli dietro alla casa!”
I due cavalli, ben pasciuti e col pelo lucido, parevano non esser mai stati meglio.
Agnese si offrì di compensare la donna con i suoi gioielli ma questa accettò solo un piccolo anello di poco valore dicendo che avrebbe saputo lei come adoperarlo.
Infine la coppia, montati i due cavalli, si avviò per il sentiero e in breve tempo raggiunse la casa degli amici di Airaud.
Questi amici erano piuttosto neutrali riguardo alle contese delle due famiglie e la fiducia del giovane Airaud si dimostrò ben riposta. I due fidanzati si sposarono con una breve cerimonia privata e dopo un giorno o due ritornarono alle loro rispettive famiglie per esporre la situazione: aspettandosi, ovviamente, una tempesta.
Non fu così,in parte per la temporanea tregua che si era stabilita tra i due capifamiglia e in parte per il sollievo che i familiari provarono nel rivedere i loro rampolli dopo tanto tempo. Cos’era accaduto in realtà? I due capifamiglia dopo il loro incidente di caccia erano tornati alla base abbacchiati anziché no e parecchio ammansiti. E con le ali basse, per così dire, e l’orgoglio sotto i tacchi. Non volendo raccontare del ridicolo incidente della buca (in cui avrebbero fatto una figura da bamba) e non volendo ognuno dei due che la controparte cantasse in proposito, avevano espresso sentimenti di saggezza riguardo all’eterna lite con la famiglia rivale. Quando, di lì a poco, si erano presentati i due scappati da casa, Uberto e Riccardo avevano recitato la parte dei parenti che sanno essere saggi e comprensivi con i giovani e i loro amori. I due sposi furono quindi riaccolti e perdonati e saggiamente si comportarono con discrezione e non fecero feste per le nozze né chiacchierarono troppo scegliendo il silenzio o meglio una condotta defilata.
Poi Airaud intelligentemente si trasferì con la sposa in una piccola tenuta di campagna evitando quindi di trovarsi, anche in un futuro, nell’occhio del ciclone ossia nel mezzo dei dissensi tra le famiglie cittadine. E in quella graziosa dimora campestre i due sposi vissero davvero felici.”

“Così le famiglie si riappacificarono?” chiese un Folletto.
“Per un po’. La riconciliazione non fu definitiva e anni dopo fu riaccesa la vecchia lite! Perfino l’Imperatore fece una volta (anni dopo) un tentativo di metterli d’accordo senza riuscirci! Ma questo non riguardò più i nostri due protagonisti che ormai avevano scelto la loro strada.”
Gughi scoppiò a ridere e proseguì: “E ora vi racconto un particolare divertente. Pochi giorni dopo il loro ritorno, Airaud e Agnese, che si erano appena sistemati nella casa di campagna, fecero una bella pensata. Poiché non avevano festeggiato le nozze prima, decisero di organizzare una semplice festa campestre, un pranzo all’aperto sul prato davanti a casa invitando pochi amici fidati. Nessuno sfarzo, una cosa semplice! E volete che ve ne dica una? Anche il Piccolo Popolo partecipò numeroso! Erano invisibili agli umani, naturalmente… ma ogni tanto spariva una coscia di pollo o una fetta di torta oppure un bicchiere di vino si svuotava misteriosamente! Tutti si divertivano da matti! Anche gli umani, perchè erano di quelli carini e tolleranti, che non si offendono per un nonnulla!
In fondo era pur giusto che qualcuno dei nostri partecipasse. Chi era stato a farsi seguire sotto forma di animale da Riccardo Tizzoni? Be’, mica che lo avessero fatto apposta per farli riappacificare, neh! Noi non ci impicciamo delle loro liti. Era stato fatto giusto per fare uno scherzo, per far finire due umani importanti (che si credevano tali cioè), due spocchiosi presuntuosi maiuscoli, a fare una figura ridicola sul fondo di una buca. Se poi ne sono venute fuori conseguenze positive, beh, tanto meglio! E questa” concluse Gughi “è la mia storia! Contenti ora?”
Per un po’ l’uditorio si complimentò con Gughi. Ma una striscia luminosa era già apparsa nel cielo, si avvicinava l’alba e le teste ciondolavano.
“Bravo, brau da bun!” disse una Fata accompagnando le parole con uno sbadiglio.
“Bella storia” disse un Folletto.
“Gum!” disse il Gigante.
Questo conciso commento parve riassumere la situazione e la comitiva si sciolse.

FINE

 

NOTA PER IL LETTORE

Questo racconto presenta uno sfondo storico. Le famiglie degli Avogadro e dei Tizzoni sono realmente esistite a Vercelli nel Medio Evo ed è un fatto storicamente accertato che furono rivali in quanto i Tizzoni, per un certo periodo signori di Vercelli e di vecchia nobiltà guerriera, erano Ghibellini e millantavano una discendenza addirittura dal re Arduino, mentre gli Avogadro (di probabile origine altoborghese, poi nobilitati, come dice il loro nome che deriva da Avogadòr, avvocato), erano Guelfi. E’ storico che perfino l’imperatore Arrigo VII (quello di Dante) durante la sua visita in Italia nei primi anni del Trecento (e quindi dopo il nostro racconto da collocare idealmente nel Duecento) cercò di riconciliare le due parti con scarso successo.

Pare che per un certo periodo ci sia stata una tregua tra le parti e ci sia stato un matrimonio tra due rampolli delle due famiglie. Forse un matrimonio combinato, per tentare una conciliazione. Fin qui, i fatti storici. Tutto questo mi ha dato l’idea di scrivere un racconto su di un immaginario amore segreto e quindi ho scritto questa storia che come background è ambientata nella seconda metà del Duecento.

Quanto a Tchesalina, i lettori che si intendono di folklore avranno sentito parlare di Tchesalina o Cesalina una famosa masca vissuta in Val Soana. Fu autrice di terrificanti beffe e sortilegi ai danni dei suoi conterranei. Qui è diventata una maga, una specie di Alcina che sequestra e strega i cavalieri conducendoli nel suo castello.
La vecchia filatrice è senz’altro una delle fate filatrici frequenti nelle Alpi della Svizzera, eredi delle Norne e delle Parche. Tra il vercellese, la val Soana e le Alpi tra Piemonte e Svizzera si articola quindi questo racconto che strizza l’occhio al folklore di cui mi sono spesso occupata nei miei saggi. Il racconto si ispira per un dettaglio alla celebre storia piemontese del Re Crin (presente anche nella raccolta di fiabe di Italo Calvino), in cui la moglie abbandonata, in cambio di doni, ottiene di poter passare tre notti con il marito vittima di stregoneria. Tuttavia l’argomento principale di Re Crin è molto diverso.

I più meticolosi potrebbero rimproverarmi un paio di cose:

1) Agnese mangia un sorbo nel bosco.
Ora, i sorbi sono senz’altro commestibili ma vanno lasciati maturare un giorno o due prima del consumo;

2) Uberto ha una fiaschetta di vino in tasca, ma nel Duecento erano rarissimi abiti e mantelli provvisti di tasche!
Ebbene, lettori, passateci sopra.
Prendete i racconti di fantasia come tali, senza pretese di esattezza storica!