L’ultimo unno: Reinar Vol 1

Lultimo unno: Reinar Vol 1
di Timea Hajnalka Dani

 

  • Lunghezza stampa: 504
  • Lingua: Italiano
  • ASIN: B07F6TYFDC
  • Genere: storico
  • Disponile in Kindle, KU e presto anche in cartaceo.

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SINOSSI

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Lamore ti coglie allimprovviso, quando meno te lo aspetti e la perseveranza premia gli arditi. Quando limpossibile diventa possibile.
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In uno sperduto feudo dell’Impero svedese sta per compiersi una profezia millenaria: un uomo viene chiamato a portare a termine l’ultima volontà del re di una delle tribù del passato e figlio del temibile Attila.
Reinar deve riprendere ciò che di diritto gli appartiene: un impero e una corona a cui molti ambiscono e per cui sanguinose guerre di successione sono una cruenta realtà.
Il predestinato parte per un lungo viaggio insieme a una compagnia di sette uomini, scendendo lungo il corso della Vistola, fino ai monti e all’invalicabile muro di foreste dell’Impero d’Ungheria: il cuore verde dell’Europa orientale, ancora sconosciuta ai più, intrisa di leggende e miti che contribuiscono al suo isolamento dalle grandi corti dell’occidente.
Il destino, però, gioca le sue carte e Reinar si ritrova in pericolo.
L’incontro con un popolo di raminghi e, soprattutto, con la figlia del loro capoclan, scatena una serie di eventi imprevedibili e il sangue inizia a scorrere.
Nonostante tutto, la tenacia, la forza e l’onore spingono il valoroso nordico fino alla meta finale: il castello di Sàrvàr e la sua temibile proprietaria, avvolta da una oscura fama di assassina e crudele reggente.
Sarà l’occasione, per Reinar, di convalidare o sfatare i presagi che circolano sul suo conto e prendere, finalmente in mano, le redini del suo destino.
Tradimenti, grandi passioni, battaglie e verità taciute si susseguono in un graduale crescendo; un’avventura intensa e permeata di quel mistero e di quella magia che la storia nasconde tra strati di polvere, in antichi e dimenticati archivi e carte sparse disseminate nello scorrere del tempo.

 

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Tradimenti, grandi passioni, battaglie e verità taciute si susseguono in un graduale crescendo

 

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PRIMO ESTRATTO

Gettai la freccia e osservai la donna per quanto possibile, alla flebile luce della torcia di Miska: indossava un lungo mantello nero con un ampio cappuccio, legato al collo da un nastro. Mi avvicinai lento, ma con una mossa repentina, le abbassai il cappuccio.
«Non osate toccarmi!» disse decisa senza indietreggiare.
«Non ne ho l’intenzione, signora. Certo è bizzarra la vostra presenza qui», dissi curioso. Era più bassa di me e una cascata di capelli neri lisci, le circondava il viso dalla pelle ambrata. Aveva labbra piene e occhi luminosi e furiosi per averla oltraggiata violandone l’anonimato. «Il motivo della mia presenza qui non è affar vostro. Ora devo andare». Cercò di oltrepassarmi, ma la bloccai per un gomito. «E dove, esattamente, pensate di andare senza il vostro coraggioso destriero e circondata dalle tenebre?», la provocai deliberatamente dato il suo tono sprezzante. «Non sono tenuta a rispondervi, non sono una vostra serva, quindi lasciatemi!» ordinò astiosa. Tentò di liberare il gomito, ma rafforzai la presa.
«No, non lo siete per fortuna, altrimenti con la lingua che vi ritrovate, dieci nerbate non ve le leverebbe nessuno, signora», dissi scandendo l’ultima parola. Con l’altra mano, senza preavviso, partì per colpirmi in volto, ma la fermai senza esitazione. Vidi i suoi occhi lampeggiare di furore.
«Adesso, ascoltatemi bene: avete due possibilità, venire con noi lasciando che vi scortiamo in sicurezza alla vostra destinazione, o scegliere volontariamente di arrischiare alla vostra vita, sola e senza cavallo, alla mercé del primo farabutto che incontri il vostro cammino. Avete inteso?» Mi guardò dritto negli occhi per un momento interminabile, come se riuscisse a vedere oltre , fino all’anima. Sembrò scrutare i recessi più ignoti del mio essere. «Se siete d’accordo, vorrei il mio braccio», disse stizzita. La lasciai.
«Va bene, accetto il vostro aiuto», disse come se mi concedesse una grazia. «Torniamo dagli altri», dissi rivolto a Miska e Torsti che per tutto il tempo rimasero spettatori passivi di quello scambio di battute. Fecero un cenno del capo e mi parve di intravedere un sorriso sardonico sulle labbra di Miska. Ne avremmo riparlato, ma in quel momento ero molto infastidito dal tono della donna. Tornammo sui nostri passi, fino al falò.

 

 

SECONDO ESTRATTO

Per una fortunata coincidenza, mi trovai poco dietro il carro di Emese. Del tutto inaspettata, ne scese veloce gli scalini senza accorgersi di me e a testa bassa si diresse verso il fiume con un secchio vuoto. La osservai stupito senza sapere bene cosa fare. Lei tornò con il secchio pieno e mentre passò il manico nella mano sinistra, mi vide. Si arrestò e i nostri occhi s’incontrarono a metà strada: i miei meravigliati nel rivederla dopo tanti giorni, i suoi, dopo un breve stupore, furiosi e pieni di collera. Tutto avvenne in un attimo: lasciò cadere il secchio e corse verso il carro, mentre io saltai giù dalla sella correndole dietro. Tentò invano di sbattermi la porta del carro in faccia, ma feci in tempo a mettere in mezzo lo stivale e senza grande fatica la spalancai completamente.
«Vattene se non vuoi che mi metta a gridare!» mi disse con il fiato corto allontanandosi verso il fondo.
«Dì quello che vuoi, non mi interessa», dissi pacato bloccando l’uscita.
«Vattene!» ordinò.
«Grida pure, tanto non verrà nessuno», risposi provocandola.
«Razza di furfante villano e pagano», continuò cominciando a lanciarmi qualsiasi cosa le capitasse tra le mani. Brocche, cucchiai di legno, pezzi di ferro dalle ceste accanto a lei e altri oggetti che non ebbi modo di riconoscere nel tentativo di schivarli si schiantarono sulle pareti o si persero sulla strada alle mie spalle, quando Emese riusciva a centrare la porta. Tirò di tutto, adirandosi per la velocità con cui riuscivo ad evitarli. Quando sembrò non avesse più nulla da lanciare, buttò uno sguardo fugace alla lampada sul tavolo e come un lampo ci si fiondò sopra per prenderlo. Feci altrettanto e le bloccai la mano sulla piccola superficie. Cercò di tirarsi indietro e di liberarsi dalla mia presa, ma più tirava invano più si infuriava, e più il suo respiro aumentava più i suoi bellissimi capelli sembravano vivere di vita propria, circondandole il volto arrossato e ondeggiando al ritmo dei suoi inutili tentativi. Non potei non sorridere, di lei e della sua rabbia. Se ne accorse e sollevò la mano destra per darmi uno schiaffo che bloccai a mezz’aria intrecciando le nostre braccia in un inutile guerra di forza.
Improvvisamente disse: «Va bene…va bene hai vinto, lasciami la mano», poi per dimostrare le sue buone intenzioni, lasciò la presa sulla lampada emettendo un rumoroso sbuffo. Il piccolo tavolo che si frapponeva tra noi era come inesistente per me, ma sembrava sufficiente per lei: si sentiva sicura, malgrado quel miserevole braccio e mezzo che la distanziava da me.
«Te lo chiedo gentilmente, scendi-dal-mio-carro», disse con un tono che pensava potesse intimidirmi.
«Non-ci-penso-neanche, non finché non avremo parlato», dissi imitando la sua aria severa.
«Non abbiamo nulla da dirci».
«Ti sbagli, dobbiamo parlare di tantissime cose».
«Ebbene, sono io che non voglio parlare con te. Di nulla!» esclamò alzando leggermente la voce.
«Mi ascolterai, invece, altrimenti…» e mi interruppi evitando di dire una sequela di imprecazioni.
«Altrimenti cosa?» chiese minacciosa. «Altrimenti sarò costretto a metterti sulle ginocchia e punirti come una bambina», risposi sollevando un sopracciglio e pensando che tutto sommato non mi sarebbe dispiaciuto poi molto.

Terzo estratto

Di fronte a noi si innalzavano le mura settentrionali, uno dei cinque lati della magione, a cui eravamo giunti seguendo il corso del Ràbà, da nord.
Il castello della contessa sorgeva in mezzo ad un fossato pieno d’acqua largo quanto un fiume, su un isolotto situato nel mezzo di un territorio cosparso di numerosi acquitrini, formatisi dall’incontro tra il Ràbà stesso e il Gyöngyös. Era una costruzione pentagonale, con possenti bastioni negli angoli ed alte pareti che cadevano inclinate nell’acqua. Una piacevole nota di colore era data dai tetti di un rosso acceso che spiccavano in mezzo a quella piana, protagonisti indiscussi tra le tonalità infinite del verde.
Con andatura lenta, curiosi e guardinghi allo stesso tempo, scendemmo dal colle virando verso est dove si trovava l’ingresso principale. Dubitavo che il ponte levatoio fosse stato costruito a caso in quella direzione: attraversavamo il regno indiscusso della contessa, dove non accadeva nulla se non espressamente ordinato da lei. Mi sembrò un messaggio inequivocabile: come il sole nasceva e moriva nel suo continuo ed inarrestabile ciclo, così, all’alba, il suo mondo si doveva destare per poi sopirsi al tramonto, in una successione continua dove lei sembrava essere l’ago di una bilancia poco equilibrata. Nonostante fossero le ultime luci del giorno, il caldo afoso non accennava a diminuire e l’aria, immobile, era pregna dell’odore pungente delle scuderie che da oltre le cinta murarie esterne si propagavano morbosamente intorno alla fortezza, ristagnando. Giunti ai margini del fossato e del lungo ponte che lo attraversava fino alla fortezza, alzammo inconsapevolmente gli occhi sulla torre principale sopra l’ingresso: il sole che tramontava alle sue spalle, la rese maestosa, più di quel che fosse e l’arcata dell’entrata sembrò un grande buco nero che si apriva in mezzo alle mura.
L’intera dimora sembrava fosse deserta: dall’interno non sopraggiunsero rumori di alcun tipo come se qualsiasi attività fosse stata sospesa col sopraggiungere della sera. Le grandi finestre che davano a est erano oscurate da spessi tendoni e da nessuna di esse filtrava la benché minima luce di candele accese. Gli unici particolari che denotarono la presenza di anime, furono i fumi bianchi che uscivano dalle ciminiere: una alta situata dietro la magione, dove supposi ci fosse la lavanderia, in quanto settore riservato alla servitù e un paio più piccole sui tetti a sud.

 

Chi è l[sta_anchor id=”autrice”]autrice[/sta_anchor]

Timea Hajnalka Dani è nata in Transilvania e di nazionalità ungherese. Abita in Italia da molti anni.
Ha sempre amato la scrittura, ma “L’ultimo unno” è la sua prima pubblicazione e dopo un lungo lavoro di ricerca storica, ha completato il romanzo, il primo della serie – Reinar.