Ambrose

 

 

Ambrose
di Fabio Carta

Casa editrice: Scatole Parlanti
Collana: Mondi
ISBN: 978-88-3281-027-1
Data di pubblicazione: 07 giugno 2017
Formato: cartaceo 16×22
Prezzo: 15,00 €
Genere: fantascienza
Pagine: 212

Link all’acquisto: http://www.scatoleparlanti.it/mondi/ambrose/

 

Quarta di copertina:

Controllore Ausiliario – CA – è uno dei pionieri ad aver sposato la causa della missione Nexus, la frontiera virtuale dove scrivere un nuovo e pacifico capitolo della storia umana. Ma durante la preparazione terapeutica, il suo corpo rimane vittima di danni irreparabili. Logorato dalle metastasi, è costretto a vivere in una speciale tuta eterodiretta da pazzi esaltati, che combattono una guerra in bilico tra realtà e spettacolo. Il suo destino è la morte, mentre un suo gemello elettronico continuerà a simulare la sua esistenza nel ciberspazio.
L’infelicità di CA – figlio delle stelle, alieno agli usi terrestri – subisce uno stravolgimento con la comparsa di Ambrose. Un’entità che si presenta come una rosa stillante ambra, una irriverente voce che lo guida verso sviluppi imprevedibili. Come ribellarsi al proprio destino e scoprire cosa si cela realmente dietro i grandi cambiamenti ai quali l’umanità dovrà far fronte.

 

Ambrose è la speranza. Ambrose è l’ipostasi della virtù perduta, stereotipo del gentiluomo filantropo pacato e brillante, flâneur elegante e sfaccendato che però, paternamente, è disposto ad aiutare gli sprovveduti, i meno fortunati. Che c’entra un simile personaggio in un romanzo di military sci-fi mecha-post-cyberpunk? Ambrose, spettro di virtù perdute, è la guida, è il mistero afferente a coscienze aliene e misteriose, è quello che ci auguriamo di trovare quando veramente sonderemo l’insondabile, un’entità sardonica, che scimmiotta i nostri costumi, evidentemente, eppure risultando assurdamente amichevole e rassicurante. Per questo Ambrose è la speranza: la speranza che nello spazio e nel nostro futuro non ci sarà solo male e desolazione.

 

 

 

Perché leggere Ambrose? Esploriamolo assieme all’autore!

 

  • Buongiorno, Fabio, quando hai progettato questa storia?

Nel 2015, in occasione dell’annuale concorso Urania. In effetti ero molto stretto coi tempi, e ho dovuto fare una corsa per completare il libro e sintetizzarlo, per farlo rientrare negli stringenti limiti di battute richieste dalla prestigiosa iniziativa della Mondadori. Ovviamente, manco a dirlo, non sono nemmeno arrivato in finale.

 

  • Sei stato ispirato da qualche lettura, vecchia o recente?

Due libri in particolare, ovviamente di fantascienza: Fanteria dello spazio di Heinlein e Guerra/Pace eterna di Haldeman. E come poterlo negare, d’altrone? Heinlein, con le sue tute che lanciavano granate atomiche dalle braccia, o Haldeman, con gli scafandri da battaglia (in Guerra Eterna) o i suoi droni antropomorfi (Pace Eterna). Ho cercato di prendere dai grandi, di salire sulle loro inarrivabili spalle per ergermi, piccolo nano, solo un pizzico più in alto, per vedere un po’ più in là. Al di là di quello, c’è un intero settore della recentissima industria videoludica e cinematografica che, ormai, non può prescindere più dalle supercorazze ipertecnologiche, versione modernissima dell’antico e mai dimenticato mito del paladino cristiano. La corazza come protezione invincibile e metafora della propria fede incrollabile. Quale miglior nemico poteva avere un siffatto cavaliere del futuro se non un’intera nazione di feroci infedeli? Questo è lo stereotipo che fa da incipit ad Ambrose, sia nelle immagini che nelle parole. Ci ho messo un intero romanzo nel tentativo di farlo a pezzi. Spero di esserci riuscito. Questi i mostri sacri da me indegnamente saccheggiati. Ma anche il Dizionario del diavolo, di Bierce e L’uomo dal fiore in bocca, di Pirandello, per quanto in misura minore. Breve poscritto: siete i primi a cui ammetto di essermi ispirato a Bierce e a Pirandello.

 

  • L’ambientazione è reale o di fantasia?

Fantasia, ovviamente. Eppure una fantasia che ha voluto attingere a piene mani dalla realtà. La nascita dell’Isis, ovvero del Califfato in Iraq e Siria, mi ha fornito certamente di un contesto più moderno e credibile in cui sviluppare la trama. Ma la vera ispirazione è venuta in tempi non sospetti, anni prima della tragedia delle Torri Gemelle e dopo aver letto un saggio di Lorenzo Pinna intitolato in maniera esemplare Cinque ipotesi sulla fine del mondo. Erano i primi anni ’90 ed era appena finita la guerra fredda, e con lei l’ipotesi apocalittica della MAD (Mutual Assured Destruction) in caso di guerra nucleare; ciò nonostante l’autore, interrogandosi su quali scenari geopolitici futuri avrebbero potuto portare al rischio di uno o più conflitti regionali non convenzionali, citava proprio l’ardita, per allora, ipotesi della nascita di una grande e aggressiva nazione araba, il “Califfato”, per l’appunto.

 

  • Il romanzo è autoconclusivo o rientra in una serie/saga?

È autoconclusivo. Tuttavia, nel caso dovessero esistere da qualche parte dei lettori delle mie precedenti opere, costoro potrebbero riconoscere dei riferimento a un universo narrativo, un background esteso che presenta non poche coincidenze con l’ambientazione della mia precedente saga sci-fi, Arma Infero. Collegamenti ce ne sono, eccome; ma diciamo che possono essere intesi come tributi, chicche per i miei lettori affezionati (ne esistono?) e non pregiudicano affatto la lettura disgiunta dei due romanzi. Anche perché le due ambientazioni hanno una distanza temporale notevole, praticamente incalcolabile, pur condividendo delle origini comuni come delle tecnologie; queste ultime in Ambrose appaiono come dei prototipi e in Arma Infero, invece, come parti di un sapere mistico, così antico da esser trattato alla stregua della magia.

 

  • Parlaci dei personaggi e definiscili brevemente con qualche aggettivo. Qualcosa che li renda irresistibili agli occhi del lettore.

Il protagonista è un soldato con indosso un’armatura robotica, un soldato corazzato come già hanno raccontato Heinlein e Haldeman, ma con qualità umane e morali decisamente inferiori agli eroi di quei romanzi. Egli è infatti un misero ausiliario privato, una “biomassa” che rende possibile l’utilizzo del proprio corpo – come della macchina che indossa – da parte di altri soldati come fosse lui stesso un drone da combattimento. Tra drammi interiori, provocati dall’alienazione dei suoi eccentrici affetti e dalle motivazioni ambigue alla base dell’arruolamento, il crollo – o la rinascita – del nostro avverrà quando improvvisamente nella sua mente malata fiorirà la voce della sua coscienza, o della sua follia. E questa voce ha un bel carattere: sagace, pungente. Ha persino un nome: Ambrose.
Ambrose è la speranza. Ambrose è l’ipostasi della virtù perduta, stereotipo del gentiluomo filantropo pacato e brillante, flâneur elegante e sfaccendato che però, paternamente, è disposto ad aiutare gli sprovveduti, i meno fortunati. Che c’entra un simile personaggio in un romanzo di military sci-fi mecha-post-cyberpunk? Ambrose, spettro di virtù perdute, è la guida, è il mistero afferente a coscienze aliene e misteriose, è quello che ci auguriamo di trovare quando veramente sonderemo l’insondabile, un’entità sardonica, che scimmiotta i nostri costumi, evidentemente, eppure risultando assurdamente amichevole e rassicurante. Per questo Ambrose è la speranza: la speranza che nello spazio e nel nostro futuro non ci sarà solo male e desolazione.
Il romanzo si svolge come un dialogo tra CA e Ambrose, una pièce con la cabina dell’esoscheletro e una piccola fetta di fronte contaminato come palcoscenici, escluse le poche sortite nei vari mondi virtuali garantiti dalla connessione in rete; su tali desolanti prosceni si susseguono i diversi dialoghi serrati tra le voci: quella del protagonista, quella del fantasma folle Ambrose e quella della IA che sovrintende i funzionamenti automatici dell’esotuta. E ce ne sarà da discutere, poiché Ambrose – tra battaglie e incursione nel cyberspazio, tra confronti con i commilitoni e drammatiche licenze a casa – ha in serbo per il nostro poveretto un grandioso destino.

 

  • Qual è il pubblico ideale per questa storia? È un testo per tutti o per fasce di lettori ben precise, ad esempio per adolescenti, adulti o è pensato per un pubblico prevalentemente femminile o maschile?

Il mio pensiero relativamente a quella che è la letteratura fantascientifica è semplice, ovvero che non è detto che tutta la sci-fi debba per forza essere avventurosa e di facile fruizione, non tutta la fantascienza deve essere ready-up pronta alla trasposizione cinematografica, non tutta la fantascienza deve avere come target un pubblico trasversale sia per estrazione culturale che generazionale. Il “lettore che cerca svago”, così come alcuni lo chiamano, non deve, semplicemente, comprare un mio libro. E di questa cosa, fidatevi, ne vado realmente fiero.

Che tipo di linguaggio hai scelto, per questo romanzo? Colloquiale, forbito, diretto, ecc…?

Mi accusano di aver adottato un linguaggio dal registro eccessivamente elevato, persino aulico. Non saprei che dire… so scrivere soltanto così, in una specie di fiera antilingua che spazia dallo slang all’arcaico scadendo di tanto in tanto nel “burocratichese”. Faccio male? Giudicate voi.
A differenza di Arma Infero, il cui linguaggio arcaico era in qualche modo imposto dal POV (punto di visualizzazione n.d.r) focalizzazione da me scelta (la prima persona di un cavaliere), qui il linguaggio forbito (ma neanche tanto) è stato un tentativo di stemperare nella narrazione la crudezza, la vuotezza gergale e la spersonalizzazione delle conversazioni tra uomini, quest’ultime da me così illustrate sia in polemica alla reale situazione interlocutoria del nostro mondo “vero”, sia per meglio far risaltare nei passi dedicatigli l’acume lessicale, per quanto anacronistico, del personaggio Ambrose.

 

  • Che cosa desideri comunicare al lettore? C’è un significato nascosto, sotto la trama?

Ambrose è cyberpunk al 100%. Il vero cyberpunk non racconta storie dal punto di vista della “sala dei bottoni”, non esiste il POV onnisciente che tutto sa e che tutto spiega, non ci sono le sorti dell’umanità messe nelle mani di pochi personaggi, buoni o malvagi. Il cyberpunk non è così anti-democratico, non crede nel super-uomo di massa, e se lo fa lo impiega come metafora di tutto quanto non dovrebbe essere fatto, oppure per demolirne l’immagine evidenziandone ogni singolo difetto. E quando questo super-uomo riesce in qualcosa è sicuramente frutto di un caso fortuito, non certo di un degno coronamento di innegabili virtù (o vizi) del personaggio in questione. La narrazione non è quindi discendente dalle vette inarrivabili degli eroi epici, eletti, predestinati et similia, ma sgorga, erutta spontaneamente dall’humus degli strati inferiori, ascendendo a lambire, quando capita, le trame più importanti delle vicende umane. E se succede, nessuno, nel caleidoscopico caos del mondo post-post-moderno transumanista, potrà mai dire come sia avvenuto. È un’anarchia da ammirare, da gustare, non da capire. Perché è impossibile, proprio come nella realtà.

 

  • Hai usato una tecnica particolare, per scrivere questo romanzo?

Il linguaggio tecnico da me usato – o meglio l’onda impetuosa di technobabble che va e viene in ogni capitolo – ha uno scopo ben preciso, ovvero confondere e scardinare il lettore dalle certezze che gli vengono prima di tutto dalla familiarità con ambiente e linguaggio. Ambienti, storie e rapporti umani diversi sono in Ambrose raccontati con termini diversi. Il risultato è sicuramente alienante, ma è una tecnica strumentale – da me mutuata dai capolavori del cyberpunk come Neuromante – necessaria a creare nel lettore il dovuto spaesamento, quasi una paura, una repulsione o una comprensione frammentaria dove alla fine piomba il messaggio. Un messaggio nobile, edificante: fratellanza.

 

L’autore:

Fabio Carta, classe 1975, è appassionato di fantascienza e dei classici della letteratura. Laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico, ha al suo attivo la saga fantascientifica Arma Infero, una serie che a oggi conta due romanzi (Il mastro di forgia, 2015 e I cieli di Muareb, 2016) e il racconto lungo Megalomachia (Delos Books, 2016), scritto unitamente alla finalista del premio “Urania 2016”, Emanuela Valentini. Ha inoltre partecipato con importanti firme della fantascienza italiana all’iniziativa benefica Penny Steampunk (2016), da cui è nato un volume di racconti fantastico-weird a cura di Roberto Cera.