In fuga da te

In fuga da te

Wicked 3

di Jennifer L. Armentrout, J. Lynn

304 pagine
6 – 7 ore di lettura
83,000 parole in totale

Casa Editrice Nord, ottobre 2018
Editore: Casa Editrice Nord
ISBN: 9788842931751

  • Fantasy
  • Romanzo d’amore Contemporaneo

Sinossi

Mi hai salvato la vita. Pensavo che questa fosse la fine. Invece è soltanto l’inizio…

 

È stata rapita, è stata torturata, è stata costretta a tradire le persone che ama. Adesso, Ivy Morgan vuole solo dimenticare. Eppure più passano i giorni, più lei ha l’impressione che quella terribile esperienza non le abbia lasciato solo incubi e cicatrici. C’è come una forza oscura che si muove dentro di lei, un Male che diventa sempre più forte e che Ivy teme possa prendere il sopravvento… Ren Owens ha fatto di tutto per Ivy: ha mentito all’Ordine, disertato la sua missione, ucciso chiunque avesse scoperto il loro segreto. E per poco non l’ha persa. Adesso lui e Ivy devono affrontare la prova più grande: trovare il modo per chiudere i portali che collegano il nostro mondo con quello dei fae e sconfiggere il Principe una volta per tutte. Tuttavia ben presto si renderanno conto che ciò che pensavano di sapere sul Principe, sull’Ordine e persino su loro stessi non è altro che una copertura. Soli, senza più nessuno di cui potersi fidare, Ivy e Ren saranno costretti a scendere a patti col loro peggiore nemico pur di salvare l’umanità intera…

 

1

Nella fioca luce argentea della luna che filtrava dalle tende pesanti, non riuscivo a distinguere nulla. L’aria era ferma e stantia.

Ma sapevo di non essere sola.

non ero mai sola.

Scrutai l’oscurità. Avvertii la morsa fredda del collare di metallo mentre tentavo di far rallentare i battiti, ma il cuore batteva sempre più forte, finché la pressione non mi schiacciò il petto.

Non riesco a respirare.

Non riesco a respirare in questa…

Qualcosa si avvicinò al letto.

Non lo vidi, ma percepii il leggero spostamento d’aria. Ogni muscolo era teso e il cuore mi schizzò in gola. Eccola. Un’ombra bloccò il sottile fascio di luce lunare.

Lui era lì.

Oddio, lui era e non c’era via di fuga.

Non c’era niente che potessi fare. Era il mio futuro, il mio destino.

Con una fitta al ventre gonfio, cambiai posizione, appoggiando la schiena alla spalliera. Uno strattone improvviso della catena mi fece cadere su un fianco. Cercai un appiglio, ma era inutile. Gridai, però le ombre della stanza inghiottirono la mia voce. Un altro strattone mi trascinò sul materasso, verso di lui. Verso il…

Spalancai gli occhi nel bel mezzo di un salto che per poco non mi fece cadere dal letto. All’ultimo momento riuscii a fermarmi e presi qualche boccata d’aria… Un’aria fresca leggermente profumata che mi fece ripensare agli autunni del Nord.

Mi scostai i ricci dal volto e scrutai la stanza, soffermandomi sulla finestra: le tende erano aperte, come le avevo lasciate prima di dormire. Il chiaro di luna inondava il divanetto in un angolo. L’ambiente e gli odori mi erano familiari. Una dolce sensazione di sollievo mi pulsò nelle vene.

Tuttavia dovevo assicurarmi che fosse solo un incubo e non la realtà. Che non fossi ancora prigioniera del principe, determinato più che mai a ingravidarmi per avverare l’incredibile profezia che avrebbe fatto spalancare tutti i portali per l’Altro Mondo.

Con lentezza, mi posai la mano sul ventre.

Nessun rigonfiamento.

Nessuna gravidanza.

Significava che non ero più nella casa del principe.

Tremando, mi passai una mano tra i capelli. Era un incubo… nient’altro che uno stupido incubo. Prima o poi ci avrei fatto l’abitudine. Alla fine avrei smesso di svegliarmi in preda al panico.

Non avevo scelta.

Mentre traevo un respiro calmo e profondo, sentii brontolare lo stomaco. Fame. Potevo ignorarne i morsi: fino ad allora ignorare il bruciante senso di vuoto aveva funzionato, no?

Espirando, feci ricadere le mani sul materasso e deglutii. Ormai ero sveglia come un grillo. Proprio come la notte prima… e quella prima ancora.

Qualcosa si mosse alle mie spalle, nel letto. «Ivy?»

La voce, profonda e assonnata, mi fece irrigidire e arrossire. Senza voltarmi, liberai le gambe dalle coperte. «Scusa, non volevo svegliarti.»

«Non devi scusarti.» Nella sua voce non c’era più traccia di sonno. Quando il letto si mosse di nuovo, non ebbi bisogno di guardare per sapere che Ren si era seduto. «È tutto a posto?»

Mi schiarii la voce. Me l’aveva chiesto un milione di volte. È tutto a posto? La seconda domanda più gettonata era: «Stai bene?»

«Sì, mi sono solo… svegliata.»

Passò un momento. «Credevo di averti sentito urlare.»

Maledizione.

Le mie guance scottavano sempre di più. «Non… non penso di essere stata io.»

Lui non replicò subito. «Hai avuto un incubo?»

Sapeva già la risposta. Non avrei dovuto avere difficoltà ad ammetterlo. Inoltre un incubo non era niente di che. Accidenti, Ren avrebbe capito, se alla portata principale di casini del giorno si fosse aggiunto un contorno di disturbo post-traumatico da stress. A maggior ragione considerato che anche lui aveva trascorso una breve vacanza in compagnia del principe e della sua allegra combriccola di fae psicopatici.

Tuttavia per qualche ragione non riuscivo ad ammettere di avere degli incubi e che, ogni tanto, mi svegliavo convinta di essere ancora in quella casa, incatenata al letto.

Lui mi credeva coraggiosa, e lo ero, ma in momenti come quello… non mi sentivo affatto tale. «Era solo un sogno. Torna a dormire, domani hai da fare.»

Ren avrebbe lasciato quello che avevo cominciato a chiamare «l’hotel dei fae buoni» per essere d’aiuto nella localizzazione del cristallo superspeciale.

In origine, il cristallo apparteneva ai fae buoni, quelli della corte dell’estate. L’Ordine gliel’aveva sottratto, poi Val l’aveva rubato a sua volta e adesso era il principe a esserne in possesso. Senza il cristallo sarebbe stato impossibile rinchiuderlo nell’Altro Mondo.

«Ivy, dolcezza, parlami.» La voce di Ren si era ammorbidita.

«Ti sto parlando.» Quando lui mi posò una mano sul braccio, trasalii. Mi ritrassi e sgusciai fuori dal letto. Non appena i piedi toccarono il pavimento, la sensazione di vuoto che mi attanagliava lo stomaco crebbe. «Penso che andrò ad allenarmi.»

«Alle tre del mattino?» Sembrava incredulo, e non potevo biasimarlo. In effetti, allenarsi nel cuore della notte era strano.

«Sì. Sono agitata.» Sdraiarmi di nuovo accanto a Ren, nelle condizioni in cui versavano stomaco e mente, non era contemplabile.

Quale momento più opportuno perché le parole pronunciate da Faye la notte in cui mi aveva aiutata a fuggire dal principe tornassero a ronzarmi in testa: Se continui, ne diventerai dipendente. O forse lo sei già.

Ren sapeva che mi ero cibata, che forse avevo ucciso qualcuno, però non me ne faceva una colpa. Credeva persino che non gli avrei fatto del male. Che non avrei ceduto alla parte di me che si era risvegliata durante la prigionia… alla fae che era in me, quella che aveva imparato a cibarsi e conosceva la sensazione che ne derivava.

E sapeva quanto fosse semplice.

Ren si fidava di me, ma io no.

Al momento non potevo permettermi di avere fiducia, perché mai e poi mai sarei riuscita a perdonarmi se avessi fatto del male a lui come l’avevo fatto ad altri. Mentre le mie mani si aprivano e chiudevano senza scopo, mi si seccò la bocca.

«Ivy?»

Mi ero persa nei miei pensieri. Sbattei le palpebre e ritrovai la concentrazione. «Hai visto la palestra nel seminterrato? Fa venire voglia perfino a me di salire su un tapis roulant.»

Ovvio che l’aveva vista. Ren non avrebbe certo avuto quel fisico, se non fosse stato a suo agio in una palestra.

«Perché, anziché andare in palestra alle tre del mattino, non te ne torni a letto? Possiamo guardare qualcosa. Di sicuro hai perso qualche episodio di The Walking Dead

Ero indietro di molte puntate della mia serie zombie preferita, ed era una vera fregatura, considerato che Campanellino rischiava sempre di spoilerare tutto. Lo stesso valeva per Supernatural.

Un’ondata di nostalgia dolceamara mi travolse, cancellando le ombre che indugiavano in fondo alla mente. Mi sarei voluta rituffare a bomba nel letto, accoccolare vicino a Ren e addormentare tra le sue braccia, con in sottofondo Rick Grimes che tornava a essere il nostro amato Ricktator. Quella sarebbe stata la cosa più normale da fare, e Dio sapeva quanto desiderassi un po’ di normalità, e da quanto tempo. Per questa ragione mi ero iscritta al college, sebbene avessi già una carriera. O sarebbe più corretto dire che ce l’avevo, all’interno dell’Ordine.
Adesso, chi poteva dirlo?

Morivo dalla voglia di sapere come fosse svegliarsi e andare a scuola o al lavoro, senza preoccuparsi di rischiare la vita o di scoprire che i miei colleghi erano stati uccisi. La normalità era andare al cinema e al ristorante. Rimanere a casa e farsi una maratona televisiva senza preoccuparsi della fine del mondo. Non scoprire che la propria migliore amica in realtà era una stronza traditrice, le cui decisioni le erano costate la vita.

La normalità era davvero sottovalutata.