Esistenze proibite

Esistenze proibite

di Paolo Bertulessi

 

Le Mezzelane Casa Editrice
Data di pubblicazione: 27/03/2018
Generi: Gialli Noir, Avventura, Legal thriller, thriller politico, Legal Thriller e Spionaggio
EAN-13 9788833280677

 

SINOSSI

Il tormentato, torbido e viscerale rapporto di Adam con il sesso femminile: l’indole di questo ragazzo borderline della Milano bene, in bilico tra il bene e il male sin dalla sua infanzia, innesca una serie di eventi che marchieranno a fuoco lo scorrere della sua vita.
Una narrazione di esperienze spudoratamente uniche, intrise di una deviata e algida ginofilia legata a doppio filo all’egocentrismo e alla venalità del protagonista; sesso, perversione, mistero, soprannaturale, denaro, motori, avventura, arte, poesia e morte: tutto si fonde in una perfetta miscela che avvince e rapisce.
Si può sicuramente affermare che in questo libro esistono due protagonisti, profondamente diversi a livello caratteriale, le cui vite si fondono assieme per creare una unica esistenza ricca di forti emozioni, obiettivi ambiziosi e traguardi raggiunti.
I dialoghi tra i due protagonisti dell’opera, Adam e Traxebru, stigmatizzano al meglio la loro comune spietata visione della vita e della società, dosando al meglio lessico aulico ed espressioni taglienti.
A loro si affianca una meravigliosa piccola Dea, autistica e sensitiva: Aneta, con la sua sconcertante purezza e la sua eterea presenza, sovralimenterà quel motore emozionale che li farà viaggiare sempre più velocemente verso facili successi economici, ma anche inquietanti e sconvolgenti vicende, per poi volgere a un drammatico e sconcertante epilogo.

 

 

Assaggiamone un estratto!

Capitolo 1

Adam e Milano: un maschio e la sua città uniti, in sinergia, in una vita pregna di intense sensazioni e percezioni, ma anche colma di una spietata quotidianità; da debellare, secondo lui, con qualsiasi mezzo.
Adam era nato in quella grande e pulsante città ricca di vita e di tentazioni, una metropoli che si agita e danza con frenesia assieme ai suoi abitanti, quasi ammiccando in modo provocante; il frequente grigiore del suo cielo può mutare in un tripudio di colori cangianti, le sue nebbie possono avvolgerti in un serico abbraccio in grado di condurti in un magico stato oniroide; le sue vie e i suoi viali cosmopoliti ti possono indicare mille direzioni e tu vorrai seguirle tutte; le sue piazze e i suoi locali modaioli e frizzanti ti avvincono e ti proiettano in un surrogato di paradiso con un ricco assortimento di piaceri; il maestoso duomo ti osserva composto dall’alto delle sue guglie, esibendo il suo splendore in maniera quasi sfacciata e in netta contrapposizione artistica con la brutalista Torre Velasca, ma si sa, certi contrasti non fanno che accrescere la beltà di determinati panorami urbani; i navigli della movida sono in moto perpetuo e accolgono tutti, donando momenti felici.
No, Adam non avrebbe mai cambiato quella fucina di meravigliose opportunità, quello sterminato emporio di anime così disomogenee con una qualsiasi altra città italica e nemmeno sarebbe riuscito a immaginarsi trapiantato in un paese della provincia: era un animale metropolitano, lo era fino al midollo.
Amava il quartiere semicentrale dove era nato e dove risiedeva, ed era affascinato persino dagli sterili e asettici tramonti di periferia, dal traffico spasmodico in fibrillazione come un cuore d’acciaio, dalle giornate uggiose che lo penetravano con la loro invadente umidità e dai marciapiedi sempre affollati di gente vociante; da Brera al Giambellino, dalla Bicocca a Porta Romana, dal Castello Sforzesco a piazza San Babila, Milano è sempre stata una perpetua oscillazione tra contrasti perfetti.
Non avrebbe mai sostituito il vivido sound della sua città con il silenzio di una qualunque campagna, che avrebbe sempre percepito come qualcosa di estraneo alla sua natura.
L’afa estiva che sa di giardini urbani e cemento, da lenire con bibite ghiacciate e spumose birre, l’atmosfera da porto che permea la vivace Darsena e, in inverno, le gelide panchine del centro, dove i baci adolescenziali avevano scatenato incontenibili fenomeni di termogenesi, l’impagabile vista del panoramico skyline: tutto era sempre stato così fottutamente incantevole per lui.
Le notti, poi, erano l’epicentro della sua libido: al calare del sole il suo stato di eccitazione si impennava in modo drastico, ed era come se tante piccole scariche elettriche percorressero il suo corpo e gli donassero una overdose di pura energia, senza timore alcuno, senza più freni inibitori, inebriato da un desiderio di avventura che lo avrebbe condotto in una dimensione ipnotica.
Adam proveniva da una famiglia medio borghese ed era figlio unico: il padre, Damiano, era un commerciante di vini e distillati pregiati ed era quasi sempre assente, immerso nella propria attività; la madre, Rosalba, era una casalinga fiera di essere tale: le piaceva il non dover dipendere da un qualsiasi lavoro e amava la libertà di poter stare senza fare nulla se non lo stretto necessario, anche perché per le faccende di casa poteva contare sull’aiuto di una collaboratrice domestica.
Tanto il padre era quadrato, razionale e responsabile, tanto la madre era frivola, vanitosa e superficiale: ma era anche colta, arguta, avvenente e socievole. Aveva l’hobby della pittura, per la quale era molto dotata: la sua specialità erano nudi e volti femminili che ritraeva con precisione fotografica; spaziava dall’olio su tela al carboncino, dall’acquerello alla tempera, dalla pittura acrilica al tonalismo, fino ad abbracciare virtuosismi come il quasi monocromatico Verdaille. Il suo tratto era nel complesso leggero e arioso e ricordava la morbidezza del francese Watteau.
Le pareti della loro abitazione, persino quelle dei due bagni, erano tappezzate dai suoi quadri e spesso giungevano in casa ragazze sempre diverse per posare a pagamento; molti dipinti venivano venduti a conoscenti o a qualche galleria d’arte.
Anche se il padre era poco presente in famiglia, Adam ne percepiva la severità e la fermezza: era un uomo al quale bastava uno sguardo per incutere soggezione in chiunque, una condizione sottolineata anche dalla sua massiccia corporatura.
Per suo figlio desiderava sempre il meglio, a volte quasi viziandolo, forse per compensare la scarsa presenza nella sua vita; l’importante, per lui, era che Adam studiasse e ottenesse ottimi risultati scolastici.
Adam: quel nome lo aveva scelto la madre, confidandogli che lo aveva sempre trovato estremamente virile.
Rosalba era un concentrato di lucida follia e imprevedibilità, una complessa commistione di insane pulsioni e contorte convinzioni. Il rapporto tra lei e il figlio non era certo d’amore: più che amarsi si rispettavano, ma si accapigliavano spesso e in grande stile anche per baggianate, pur di non cedere il passo all’altro, per un inutile orgoglio insito in entrambi.
Adam mostrava un carattere molto simile a quello di sua madre, per questo tra loro esisteva da sempre una consolidata complicità, in particolar modo per quanto riguardava il denaro, il modo di ottenerlo e, soprattutto, come dilapidarlo.
La nonna materna abitava in un appartamento signorile sottostante a quello dei genitori di Adam: era vedova e viveva della sua ottima pensione, integrata da quella di reversibilità del defunto marito, un alto funzionario della pubblica amministrazione.
L’arioso appartamento della nonna trasudava eleganza e un desueto buon gusto: era attraversato da un largo corridoio disseminato di antichi dipinti ai cui lati si trovavano due scure cassapanche istoriate; vi era poi un grande salone, arredato con mobili d’epoca e lucenti e setosi tappeti persiani.
Entrambi gli appartamenti, quello dove viveva Adam con la sua famiglia e quello dove viveva la nonna, erano stati acquistati in contanti dal nonno in occasione della nascita di Adam.
La dimora della nonna non aveva più alcun segreto per il bambino, che ne conosceva ogni anfratto e nascondiglio, compreso quello del contante: l’anziana signora infilava le sue pensioni in due buste con cerniera e le riponeva in un cassetto del settimanale in mogano che dominava la camera da letto. Le due buste, poi, venivano coperte da un foulard in seta scura.
Lui lo aveva scoperto per caso, una mattina: aveva la febbre, e per suo desiderio dormì dalla nonna, più prodiga di coccole e vizietti di sua madre.
La intravide aprire e frugare in quel cassetto prima di recarsi alla messa mattutina e da quel giorno le manine di Adam iniziarono a prelevare con regolarità qualche banconota, senza esagerare: aveva otto anni, ma era già abbastanza smaliziato da progettare i suoi acquisti futuri, ovviamente tentando di occultare la pecunia per evitare che sua madre si accorgesse di quel traffico di valuta.
L’occultamento però non durò a lungo: già da qualche settimana la madre aveva notato le sempre più frequenti visite del figlioletto alla nonna e i suoi movimenti sospetti al ritorno, così lo spiò e lo vide riporre le banconote in una scatola di latta all’interno di un cassetto della scrivania della sua cameretta, quindi lo costrinse a confessare.
In quel preciso momento Adam iniziò a conoscere la vera tempra di sua madre, infatti lei lo guatò con una poco credibile aria di severità e gli chiese: «Ne ha molti di soldi la nonna? Tu riesci a entrare con facilità nella camera di quella taccagna?»
Lui realizzò all’istante che, se avesse risposto in modo adeguato alle domande della madre non sarebbe stato punito e fu così che, nei giorni seguenti, madre e figlio misero a punto un preciso piano per suggere ulteriore denaro alla nonna.
La dinamica era questa: Adam sarebbe sceso dalla nonna per fare i compiti assieme a lei, poi avrebbe finto di andarsene; avrebbe chiuso la porta ma sarebbe restato invece all’interno dell’abitazione, nascosto in camera, sotto al letto. A un’ora precisa, sua madre avrebbe suonato il campanello e, con una qualsiasi scusa atta a distrarre la nonna o a coprire la visuale della porta d’ingresso, sarebbe entrata: a quel punto lui, prelevato il contante, sarebbe sgattaiolato fuori richiudendo la porta con delicatezza.
Il bottino sarebbe stato diviso in parti uguali e i prelievi non dovevano essere più di tre al mese. Questo modus operandi funzionò per quasi un anno, fino a che la nonna, forse accortasi di qualcosa, cambiò nascondiglio alle sue finanze personali.
Rosalba adorava tutto ciò che di bello poteva indossare ed esibire, al pari di tutto ciò che le potesse procurare piacere, in tutti i sensi: godeva nel vestirsi in maniera ricercata e nell’agghindarsi con mendaci orpelli.
Aveva una doppia vita e una predisposizione alla menzogna che forse solo il piccolo Adam conosceva, dato che spesso ne era suo malgrado partecipe.
La donna aveva molte amicizie maschili e le sue giornate trascorrevano nella più totale libertà fino alla mezzanotte, ora alla quale il marito rientrava dal lavoro. Lei rincasava una ventina di minuti prima con il trucco sfatto e l’alito che puzzava di sigaretta, si cambiava, si struccava e si faceva una doccia per tornare a recitare il ruolo di moglie tra le mura domestiche. Nel suo letto Adam pregava affinché gli orari di rientro dei suoi non coincidessero mai: ogni giorno temeva che potesse accadere il peggio, qualcosa che avrebbe potuto sconvolgere la sua vita e le sue abitudini.
Soltanto il sabato pomeriggio e la domenica la famiglia ritornava unita, e la metamorfosi comportamentale sua e di sua madre era radicale.

 

CONOSCIAMO MEGLIO LA STORIA ATTRAVERSO LE PAROLE DELL’AUTORE!

 

QUANDO HAI PROGETTATO QUESTA STORIA?

 Questa storia, più che essere stata progettata, è nata con una spontaneità che ha sorpreso anche me; non vi è stata una ispirazione precisa, direi piuttosto una mia situazione precisa: questo romanzo è stato scritto in concomitanza di una grave malattia di mio figlio contro la quale stiamo ancora lottando; le parole scorrevano fluide e copiose, mentre la trama si creava pagina dopo pagina come magicamente.
Questo è un libro che odora di angoscianti ore di attesa, di corsie e di sale d’aspetto di vari ospedali: è un’opera scritta con l’anima tormentata, a mio parere la migliore condizione per uno scrittore.
Quelle infinite ore di sofferenza si sono trasformate in parole.

SEI STATO ISPIRATO DA QUALCHE LETTURA, VECCHIA O RECENTE? HAI QUALCHE MODELLO DI RIFERIMENTO PER SCRIVERE I TUOI ROMANZI?

No, non ho avuto ispirazioni esterne: trama, personaggi, ambientazioni, stile di scrittura… tutto è stato partorito dalla mia mente fino a diventare una mia creatura.
Non ho particolari modelli di riferimento, anche se ho letto e leggo molto e amo diversi autori e autrici; penso di avere un mio stile che voglio mi contraddistingua.

L’AMBIENTAZIONE E’ REALE O DI FANTASIA?

Essendo un romanzo praticamente “on the road”, le ambientazioni sono molteplici: alcune sono frutto del mio estro, altre esistono realmente. Colgo l’occasione per sottolineare il fatto che il mio romanzo è anche intriso d’arte e cultura: la trama si articola tra residenze e luoghi d’arte abbandonati dove accadono anche strani fenomeni che vedono protagonista Aneta.

PARLACI DEI PERSONAGGI E DEFINISCILI BREVEMENTE CON QUALCHE AGGETTIVO. QUALCOSA CHE LI RENDA IRRESISTIBILI AGLI OCCHI DEL LETTORE.

Non vi è un solo protagonista: la scena del mio romanzo è dominata da una triade di personaggi, così caratterialmente diversi da fondersi assieme.
Adam: egocentrico, sociopatico, satiriaco, perverso e privo di sentimenti, avido.
Traxebru: moralmente corretto, ricco di sentimenti reconditi, in simbiosi con Adam, dotato di spirito imprenditoriale e amante delle auto d’epoca.
Aneta: pura, autistica, magnetica, dotata di facoltà paranormali, eterea e bellissima… il fulcro del romanzo.

La straordinaria bellezza esteriore, poi, accomuna i tre protagonisti, le cui vite finiranno per legarsi in modo indissolubile.

CHE COSA DESIDERI COMUNICARE AL LETTORE CON QUESTO ROMANZO? ESISTE UN SIGNIFICATO NASCOSTO SOTTO LA TRAMA?

I significati sono molteplici, a volte complessi e contenuti nei dialoghi profondi, a volte disseminati nell’evolversi della trama. Lascio ai lettori la loro libera interpretazione.

 

Biografia autore

Paolo Bertulessi, nato a Bergamo il 1/10/1963. Cresciuto in una famiglia eterogenea con madre novarese, padre e nonni paterni bergamaschi, nonna materna torinese, nonno materno barese, poi viceprefetto a Padova, e una prozia austriaca, nasce a Bergamo, ma la sua famiglia dopo un anno si trasferisce a Padova, città nella quale poi vive fino all’età di quarant’anni.
Viene educato sin da bambino al culto della lingua italiana e all’amore per la letteratura, spaziando dai grandi classici alle opere contemporanee anche di nicchia: il suo primo libro, “Ventimila leghe sotto i mari”di Jules Verne, lo legge a cinque anni.
Consegue la maturità classica appassionandosi in modo viscerale alla lettura e, conseguentemente, alla scrittura, che coltiverà con sempre più crescente passione.
All’età di 25 anni perderà prematuramente e traumaticamente il padre, docente liceale di matematica e fisica, e la madre, pittrice.
Lavora per diversi anni nella grande distribuzione alimentare ricoprendo il ruolo di gerente e direttore di filiale.
Ex pugile dilettante e successivamente istruttore sportivo per molti anni, dal 2005 è titolare di una enoteca a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova.
Oltre alla lettura e alla scrittura è un cinefilo e un amante dei videogames.
Ha già operato nel settore letterario nella veste di ghostwriter, scrivendo per diversi autori locali in crisi d’ispirazione e fornendo loro trame interessanti: il suo talento nel creare storie da raccontare e pubblicare è stato da sempre molto spiccato.
Solo negli ultimi anni decide di dare spazio a se stesso come autore e di avere il proprio nome stampato in una copertina.