Luisa Paglieri
(clicca sul nome per andare alla biografia dell’autrice)
Luisa Paglieri, Fantaxy, € 18,00.
Disponibile presso la Redazione di Vita (Via Vescovado, 1 – Pinerolo), presso la libreria Mondadori di Pinerolo oppure richiedendolo a diffusione@vitadiocesanapinerolese.it
Fantaxy
Un elfo per le strade del Piemonte
Può un Elfo fare il taxista? Sì, se ci troviamo a Torino: città magica per eccellenza.
Saliamo sul suo taxi e seguiamolo nei suoi vagabondaggi. Ci accompagnerà a conoscere luoghi e personaggi di un Piemonte incantato, tra folklore, storia e leggenda.
Il percorso si snoda tra la città di Torino e la valle di Susa, alla ricerca dei misteri di antichi popoli come i Goti e i Longobardi; e poi ancora tra il basso Piemonte e le valli alpine seguendo folletti come il Servàn e il Guenillon, le Masche e le Fate, gli Gnomi e i Nani delle caverne.
Cinque racconti di Urban Fantasy che l’Autrice costruisce come detective stories, dosando sapientemente ingredienti magici e quotidiani per condurre il lettore alla soluzione finale.
IL MEZZELFO
Nota per il lettore
In un certo periodo della mia vita fui seriamente malata. Durante quel periodo difficile ebbi occasione di prendere sovente il taxi. Mi recavo in taxi a visite e controlli e prendevo il taxi anche per altri motivi, un po’ perché ero davvero debole fisicamente e non me la sentivo di camminare e un po’ perché quelle macchine chiare, dall’abitacolo accogliente, erano dei piccoli rifugi ambulanti, delle nicchie protettive in cui si riceveva una buona parola.
Mi resi conto che molti taxisti sono un po’ psicologi, couch spirituali, consulenti e molto altro.
Sono i moderni discendenti degli aurighi, guidano il nostro cocchio… e l’auriga è un personaggio importante già nell’antichità perchè guida il cocchio o il carro del protagonista, lo assiste nel combattimento e nelle prove della vita: basta pensare all’Iliade o al Mahabahrata o ai poemi celtici su Cu Chulainn.
Nacque allora il mio progetto di scrivere, una volta guarita, qualcosa sui taxisti, sul loro lavoro che consiste nel prendere a bordo sconosciuti e condurli verso varie mete partecipando indirettamente ad un intrecciarsi di vicende di vita.
Da sempre sono anche una grande appassionata di letteratura fantastica (diciamo dai tredici anni, quando lessi per la prima volta l’Orlando Furioso: il viaggio di Astolfo sulla luna e la lotta di Orlando contro l’orca marina mi fecero una grande impressione…).
Tenendo in considerazione questi vari elementi, pensai di scrivere qualcosa in cui il taxista fosse un personaggio speciale, un elfo o un mezzelfo… E siccome sono anche appassionata di folklore locale, nel mio libro sarebbero intervenuti anche personaggi della tradizione piemontese: folletti, masche e così via.
Del resto, se un personaggio come un elfo facesse il taxista lo farebbe di certo in una città ricca di magia come Torino.
ESTRATTO
CACCIA ALLA STREGA
Ariel rientrò tardi dal lavoro quella sera. Si sentiva stanco e infastidito. I soliti clienti, le solite facce. Qualcuno anche sgarbato. (Non capitava spesso che gli umani fossero maleducati con lui che irradiava -a loro insaputa- armoniose e pacificanti vibrazioni elfiche ma c’era anche qualcuno cosí insensibile e chiuso -o stressato, poveretto- da non percepire alcunché). Avrei bisogno di una distrazione, pensava Ariel passandosi la mano elegante e sottile sul viso affaticato. Nei regni elfici non era così, la vita era piena e non si avvertiva mai il bisogno di distrarsi da qualcosa. A volte si vivevano momenti pericolosi o faticosi ma si aveva solo bisogno di riposare, non di distrarsi da. Ma nel mondo umano era diverso, la vita logorava anche quando non era faticosa. Che vita assurda, non c’ era da meravigliarsi se quei poveri umani a volte facevano delle sciocchezze…anche lui sentiva il bisogno di allontanarsi dalla “solita vita”. Ah, se fosse successo qualcosa di nuovo, di stimolante!
Girò la chiave nella serratura della portina ed entrò nel piccolo condominio che divideva con cinque famiglie (o inquilini “single”).
Sulle scale e sul pianerottolo c’ era della sporcizia, sembrava terriccio. Uffa, anche questo, pensò.
Ma non passava mai l’ impresa delle pulizie? Più tardi, quando tutti fossero andati a letto (e prima del ritorno della ragazza del terzo piano, assidua frequentatrice di discoteche), si sarebbe attivato lui in prima persona: un bell’incantesimo pulente, nessuno se ne sarebbe accorto e…
Mentre premeditava il suo piccolo intervento magico, aveva aperto la porta del suo appartamento: le tracce di terra c’erano anche dentro, punteggiavano l’ ingresso, miste a gocce d’acqua e a macchie di umidità. “Si sarà introdotto un animale da una finestra socchiusa ” pensò fulmineamente il Mezzelfo. Però le tracce non sembravano impronte di un gatto o di un cane randagio…e del resto come avrebbe fatto un animale a superare l’ incantesimo di protezione che, per buona misura, era stato aggiunto a quei curiosi (e inefficaci) dispositivi umani che si chiamano serrature?
Arrivò al soggiorno e restò a bocca aperta: sopra una sedia c’era un…sacco di stracci, gli venne da pensare. Alla seconda occhiata il sacco si rivelò un essere sudicio e peloso, avvolto in abiti stracciati. Le gambe dal ginocchio in giù e i piedi erano nudi, sporchi di terra. Le tracce di argilla e di umidità sparse sul pavimento portavano diritto a lui. L’ uomo era di pelo rosso. I suoi capelli fulvi, lisci, quasi setole, spiovevano sul viso non rasato, su cui i peli rossicci della barba gettavano uno strano riflesso infuocato. Le braccia nerborute venivano fuori dalle maniche troppo corte, le mani forti e nodose erano incredibilmente sporche. Un grosso randello stava vicino a lui, appoggiato verticalmente ad un mobile. Sul pavimento, vicino alla sedia c’ era un sudicio involto. L’ espressione dell’uomo (se era un uomo) non era però né malvagia né aggressiva ma piuttosto ingenua, smarrita, un po’ sulla difensiva, come quella di un barbaro o di un montanaro capitato suo malgrado in un sofisticato contesto urbano. I grandi occhi azzurri sembravano un po’ ansiosi, apprensivi.
Dietro alla sedia su cui stava seduto il curioso ospite c’ era una strana creatura che si sarebbe detta un albero se non avesse avuto un viso, sensibile e intelligente, che sporgeva tra i rami. La creatura era in parte di color legno e in parte verde. Il viso era bruno, con due occhi scuri e brillanti. I rami sfoggiavano alcune foglie smeraldine. Non molte, in verità. Doveva essere un Arboreo, uno spirito del mondo vegetale, forse lo spirito di una pianta. Naturalmente non poteva sedersi e non ne aveva bisogno, avendo le radici a reggerlo perfettamente senza affaticarsi.
Quando vide Ariel, l’ uomo seduto fece un cenno con la mano.
“Scusa se non mi alzo” disse con una voce profonda e cavernosa (la voce di chi non parla quasi mai), pronunciando in modo incerto le parole “sono stanco”.
Ariel l’ aveva riconosciuto: era un Uomo Selvatico. Incredibile che fosse arrivato fino alla città!Un fatto rarissimo. Certo che doveva essere stanco e stressato!
“Salve” disse in tono cortese. Si chiedeva quale potesse essere il motivo urgente e importante che aveva indotto la strana creatura a superare l’ ancestrale diffidenza verso gli uomini e a cacciarsi addirittura in un centro urbano affollato. Come doveva sentirsi a disagio!
L’ Uomo Selvatico indicò se stesso con un dito “Omo Sarvadzo” disse a mo’ di presentazione.
“Certo , ti ho riconosciuto” disse Ariel gentilmente, cercando di metterlo a suo agio “Posso offrirti qualcosa da bere?”
L’ Uomo Selvatico scosse il testone cespuglioso.
“Un bicchiere di latte fresco?” insisté Ariel che conosceva le abitudini pastorali degli Uomini Selvatici, per lo più malgari dediti alla preparazione di rustici formaggi e altri prodotti consimili.
L’ Uomo Selvatico si illuminò. “Sì, latte…”disse. Sembrava quasi stupito che in una città grigia ed inquinata esistesse del latte. Ariel si chiese se avrebbe gradito l’ antisettico, controllatissimo latte della Centrale. Chissá, forse era il caso di fare un piccolo incantesimo e conferire un sapore selvatico, di mungitura, alla bianca bevanda tolta dal frigorifero…
Ma poi decise di no. Sarebbe stato offensivo, come addolcire un medicinale per un bambino e farlo passare per un dessert. Un inganno puerile, per idioti. Versò il latte in un bicchiere e lo porse all’ ospite che lo vuotò senza fare commenti, pulendosi poi la bocca con il dorso della mano.
Ariel sorrise fra sé. La visita inaspettata e come minimo inconsueta, stimolava però la sua curiosità.
Ad un tratto un pensiero preoccupante gli attraversò la mente.
“Non è che qualcuno di qui vi ha visti arrivare, eh?” chiese.
L’ Uomo Selvatico alzò la mano e fece un cenno rassicurante.
“No, elfo, nessuno ha visto”
Ariel rimase perplesso. A quanto ne sapeva, gli Uomini Selvatici non possedevano poteri magici propri, pur essendo molto vicini alla forze misteriose della natura, agli esseri arborei e ai Popoli Segreti. Come aveva dunque potuto il Selvatico fare un incantesimo di invisibilità? Non poté però formulare la domanda perchè il Selvatico stesso, comprendendo la sua sorpresa, gli fornì la spiegazione.
“Una fata ci ha aiutato” aggiunse l’Uomo Selvatico.
“Mi conosce?” chiese Ariel meravigliato.
“Per sentito dire… comunque ha occultato la nostra presenza agli…” e qui incurvò le labbra, facendo una smorfia quasi di disgusto “uomini”.
Ariel sapeva che i Selvatici spesso erano stati trattati con crudeltà dagli uomini. Tanti tanti anni prima, millenni prima, gli Uomini Selvatici avevano avuto rapporti con gli esseri umani e avevano insegnato loro tante cose utili, tanti piccoli segreti sulla preparazione dei formaggi e sulla cura del bestiame. Ma poi gli umani, divenuti “civili” (almeno così si definivano loro), avevano cominciato a sbeffeggiare i Selvatici, a deriderli per le maniere rozze da pastori, a perseguitarli quasi, provocando il loro allontanamento. I Selvatici si erano rifugiati sui monti, nelle valli disabitate, nei boschi solitari e avevano rifiutato quei presuntuosi di umani, senza cuore né riconoscenza. Per questo una visita di un Uomo Selvatico addirittura in una città era un avvenimento a dir poco eccezionale, da registrare nelle cronache e negli annali del mondo elfico…
“Posso fare qualcosa per te?” chiese Ariel che si era quasi morso la lingua per non lasciarsi scappare un naturalissimo: perchè sei qui?
Il Selvatico accennò alle sue spalle verso la misteriosa creatura arborea.
“Lui è malato, lui soffre…Tu elfo lo puoi guarire” disse un po’ rozzamente.
“Posso provarci…ma non sopravvalutare la nostra fama di guaritori e medici del verde….”
“Non sopravvaluto la vostra fama. Ma voi siete i più abili…Se non ci riesci tu…sei l’ ultima speranza”.
Ariel era commosso dal tono accorato del Selvatico, ma era anche curioso. Gli sarebbe piaciuto saperne molto di più…
“Lo fai spesso di occuparti degli Arborei malati?”
“Oh no, no. Di solito non mi muovo dal bosco. Mai. Ma ora ci sono cose strane…Molti arborei sono morti…anche Alyssa, la fata boschiva, è preoccupata. Perfino lo spirito delle acque (che sta nel nostro torrente) mi sembra strano…forse è sua la colpa. Molti sono già morti, ti ho detto. Ma lui…” e indicò con il dito sporco di terra l’ Arboreo “lui è mio amico. E’ un Faggio.Sta molto male, ormai gli restano poche foglie… Puoi aiutarlo?”
“Proverò. E’ Alyssa che ti ha occultato?”
“Sì, è la fata piú potente del nostro bosco, l’ unica vera fata…le altre sono piccole, piccolissime creature…”
Un fantasy all’ombra della Mole
di Chiara Nejrotti
La torinese Luisa Paglieri, linguista e filologa, è esperta di mitologie e di folklore; una passione che esprime nei suoi racconti, unendo la conoscenza storica al gusto per il fantastico.
Torino e le valli piemontesi costituiscono lo sfondo ideale per una narrazione cha sa reinterpretare le figure fiabesche in chiave contemporanea. I personaggi che animavano le veglie nelle stalle durante le lunghe serate invernali vengono inseriti in un contesto attuale, come a ricordarci che il “magico” continua ad esistere tutto intorno a noi, basta avere l’animo e gli occhi per vederla, anche in mezzo alla civiltà industriale che sembra così lontana dal regno dell’immaginario.
Il protagonista è un Elfo, o meglio un Mezzelfo, che ha deciso di fare il taxista, anziché di vivere nel suo regno incantato. Forse la sua parte umana sente il bisogno di movimento e di azione, di mettersi alla prova, come non riuscirebbe a fare nel perfetto, ma probabilmente un po’ statico, mondo elfico. Il suo compito è quello di fare da mediatore con il mondo degli umani per regalare ad essi una briciola di saggezza ed aiutarli a scoprire se stessi. «Guidato dalla sua sensibilità elfica, che gli faceva percepire la vita e il dolore di tutti gli esseri viventi, avrebbe potuto sollevare le sofferenze di molti», spiega l’autrice e ricorda come la figura dell’auriga sia significativa nelle diverse mitologie: non soltanto conduce l’eroe in battaglia e lo assiste nelle sue prove ma diviene anche guida delle anime e traghettatore tra i mondi. Il taxista può parere al confronto una figura assai più prosaica, ma in fondo può essere considerato come l’ultimo rappresentante di quella antica e nobile categoria. Seguiamo pertanto Ariel (nome che nasce dalla conoscenza approfondita e dall’amore dell’autrice per l’opera di Shakespeare) nei suoi vagabondaggi; saliamo sul suo taxi; egli ci accompagnerà a conoscere i luoghi ed i personaggi di un Piemonte incantato, tra folklore, storia e leggenda.
Se il capoluogo è “città magica per eccellenza”, vi sono nelle valli che lo circondano altrettanti elementi fantastici, spesso poco noti rispetto a quelli di altre regioni italiane, che meritano di essere riscoperti. Il percorso si snoda tra la città di Torino e la valle di Susa, alla ricerca dei misteri di antichi popoli come i Goti e i Longobardi; e poi ancora tra il basso Piemonte e le valli alpine seguendo folletti come il Servan e il Guenillon, le Masche e le Fate, gli Gnomi e i Nani delle caverne.
Tradizioni leggendarie come quella delle Grotte alchemiche sotto Palazzo reale o il legame del Graal con la Chiesa della Gran Madre, si uniscono alle tracce archeologiche rivisitate in chiave fantastica, il tutto condito da un pizzico di mistero e da una dose di leggera ironia che rende la lettura avvincente e piacevole.
Cinque racconti di “urban fantasy” che l’autrice costruisce come detective stories, dosando sapientemente ingredienti magici e quotidiani per condurre il lettore alla soluzione finale, nella quale si svelano non soltanto gli esiti delle vicende narrate, ma soprattutto i tesori nascosti nelle nostre terre piemontesi e nella tradizione popolare.
Chiara Neirotti
NOTE SULL’AUTRICE
[sta_anchor id=”luisa” unsan=”Luisa”]Luisa Paglieri[/sta_anchor] è laureata in Lingua e Letteratura inglese. Ha curato numerose traduzioni, ha insegnato nei licei e ha partecipato a seminari e convegni presso diverse università. È autrice di alcuni saggi sulla letteratura fantastica e non solo. Ha collaborato con giornali e riviste e ha tenuto conferenze sulla mitologia e sul folklore.