I Naif, i Portieri del Regno dei Sogni

I Naif, i Portieri del Regno dei Sogni

di Luisa Paglieri

 

A Genova si svolge in questo periodo un’importante mostra del pittore (cosiddetto naif, ma forse la definizione è riduttiva) Antonio Ligabue. L’anno scorso parecchie opere di Ligabue sono state esposte a Pavia e a Napoli, mentre nel 2016 a Gualtieri (Reggio Emilia) si è tenuta una mostra di un altro famoso pittore naif, Rovesti.
Un revival della moda della pittura naif? E’ probabile: spendiamo quindi qualche parola su questa corrente pittorica capace di regalare tante emozioni.
La parola naif, entrata nell’uso comune negli Anni Sessanta, deriva dal latino “nativus”(= nativo, cioè campagnolo, ingenuo) e designa i cosiddetti pittori spontanei, ossia coloro che dipingono istintivamente, senza una preparazione accademica, anzi al di fuori delle regole canoniche che si insegnano nelle scuole d’ arte. Non raramente questi pittori non professionisti, che dipingono per il semplice bisogno di esprimere le loro emozioni, raggiungono risultati artisticamente notevoli.
Il pittore naif non è il semplice dilettante (che imita a volte la più vieta accademia), ma è il pittore “candido” che reinventa un suo universo poetico e ha un modo del tutto personale di vedere le cose. I pittori naif ignorano le regole prospettiche e il rapporto dei valori tonali perché risolvono i problemi espressivi e tecnici con soluzioni autonome anche nel caso in cui (a volte) acquisiscano con il tempo una certa abilità tecnica. Sono pittori “primitivi”, ma primitivi moderni e talvolta vivono in una società industriale ed evoluta.
La pittura naif non va identificata con la pittura popolare, un tipo di arte o di artigianato che ripete motivi tradizionali sempre uguali, espressione di una cultura collettiva (si pensi alla tradizione delle icone): i pittori naif sono invece personalità isolate, individualisti che dipingono nel tempo libero per una necessità interiore di esprimersi o per reagire alle difficoltà della vita.
Benché la “naiveté” esista almeno da qualche secolo (per esempio, negli Stati Uniti c’è una tradizione di pittura ingenua, la cosiddetta “arte provinciale” dei coloni e dei pionieri e lo stesso si può dire dei pittori montanari dell’Appenzell in Svizzera, per non voler risalire addirittura, come fa qualcuno, ai primitivi toscani medievali che decoravano cassapanche o altri oggetti o ancora più indietro), si fa nascere il naif contemporaneo con l’opera di Henri Rousseau detto il Doganiere, un impiegato del dazio (da qui il suo soprannome) che iniziò ad esporre a Parigi nel 1885.
Rousseau era un impiegato del dazio (da qui il suo soprannome) senza una vera istruzione artistica. I suoi dipinti, ricchi di fantasia e snobbati dalla critica, furono ammirati dagli intellettuali più sensibili come il poeta Apollinaire e il pittore Delaunay e in breve tutta Parigi fu affascinata dai quadri del povero impiegatuccio, così pieni di candore… (Candore? Ma fino a che punto? Si chiedeva qualche critico e ce lo chiediamo anche noi, di fronte a certi quadri naif in cui l’ingenuità si mescola ad una certa malizia e alla critica di una società ormai artificiale e lontana dalla vita e dalla natura).
Rousseau dipingeva ritratti, allegorie, la vita dei suoi contemporanei ma anche giungle tropicali dove non era mai stato… ma si sa, nel regno della fantasia un gatto può diventare una tigre e un terrazzo con poche piante in vaso una foresta esotica.
In seguito, sempre a Parigi, il critico e mercante d’arte tedesco Wilhelm Uhde scopre un gran numero di grandi talenti “spontanei”: Vivin, Bombois, Séraphine, Bauchant, i cosiddetti pittori del Sacro Cuore, chiamati così in parte per ricordare la basilica parigina nei cui pressi vivevano, ma anche perché la loro era la pittura del cuore, fresco ma acuto osservatore delle stradine di Parigi, dei suoi bistrot, dei suoi angoli più curiosi (visti con occhio candido e bambino) nonché dei fiori, dei picnic nei prati fuori città, degli artisti dei circhi…
Dagli anni Trenta in poi comincia in Europa la voga dei pittori naif e gli artisti spontanei (tra i quali molte donne) sono presenti un po’ in tutti i paesi, diventando a volte famosi.
In quegli stessi anni, in Jugoslavia, il critico Krsto Hegedusic scopre un folto gruppo di pittori-contadini da Ivan Generalic, a Mirko Virius, a Mijo Kovacic. Si tratta di pittori rurali che operano nella zona di Hlebine in Croazia, non lontano dal confine con l’Ungheria. La loro è una pittura idillica, fatta di scene di vita contadina, mucche, alberi, villaggi innevati. I naif jugoslavi diventeranno presto una leggenda, tra loro emergeranno artisti famosissimi, veri prototipi del pittore neoprimitivo, come Ivan Rabuzin, con le sue collinette stilizzate, adorne di fiori giganti, e Ivan Lackovic, con i suoi commoventi, lirici paesaggi invernali.
La prima associazione di questi pittori rurali nasce nel 1936, il primo museo dell’arte naif dopo la guerra, nel 1952. Si parla ormai di una scuola jugoslava anche se può apparire un controsenso visto che la pittura naif è per definizione spontanea e senza regole. Altri gruppi sono presenti in Serbia e altrove: bisogna dire che la tradizione dei pittori-contadini, talvolta analfabeti ma spesso dotati descrittori del ritmo delle stagioni e dei lavori agricoli, era diffusa da molto tempo in talune zone dell’Est Europa, dalla Romania alla Bulgaria e alla Slovacchia. Questi pittori a volte dipingevano anche su vetro.
La fama dei naif esplose in tutta Europa. Anche il poeta Ungaretti ebbe parole di lode per Lackovic, “il postino di Zagabria” dotato di una sensibilità artistica eccezionale.
Il postino, già, perché spesso i naif sono denominati con le loro qualifiche professionali “ufficiali”, quelle del mondo “reale” (poi esiste un mondo tutto loro nel quale sono solo artisti!): così abbiamo il Doganiere, il Postino, e il Ferroviere, soprannome di un pittore toscano, Bastoni, che dipinge spesso treni in viaggio verso paesi fantastici.
Grandi pittori neoprimitivi sono nati anche dalle nostre parti. A Terni nasce nel 1872 Orneore Metelli, proprietario di un calzaturificio e pittore nel tempo libero (fu detto infatti “il Calzolaio”). Uomo schivo, Orneore dipinge in silenzio: solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1938, i suoi meravigliosi quadri saranno apprezzati e di lui scriverà anche il grande critico Bernard Berenson.
Figura leggendaria è anche il grande Antonio Ligabue, nato a Zurigo ma di origine emiliana. Trasferitosi in Emilia, Ligabue vive in una capanna vicino al Po, dipinge gli animali (con i quali si intende quasi telepaticamente) ma anche i colori, le nebbie e i pioppi argentei del grande fiume e della magica pianura padana. La sua pittura è incisiva, graffiante, piena di selvaggia energia. Incompreso, bizzarro, solo verso la fine della sua vita ottiene qualche riconoscimento e dopo la morte diventa famoso. Un mito. Il Gauguin della pianura padana, dice qualcuno.
Sulla scia di Metelli e Ligabue, rispettivamente, fiorirono due gruppi di pittori, uno in Umbria e Toscana, l’altro in Emilia e nella bassa Lombardia. Più che di scuole si può parlare di effetto incentivante delle due grandi personalità. Due gruppi che rispecchiano due mondi: quello collinare, fiabesco, popolato di cittadine turrite e di alberi fioriti dell’Umbria e quello padano, più ruspante, collegato con la ruvida vita contadina e lo spirito robusto e popolare della zona (è il mondo di Guareschi…)
Perché i naif possono essere angelici, idillici, ma anche drammatici, aspri, duramente popolani.
Ricordiamo, tra i molti pittori del primo gruppo, almeno Caeccarelli, Di Girolamo e Proietti e tra quelli, più numerosi, del secondo, Covili, Toniato, Rovesti, Panizza e Ghizzardi (quest’ultimo figura singolarissima, oltre che di pittore, di magùn ossia mago- guaritore di campagna, uno degli ultimi!).
Nel 1973 nasce, per sostenere i valori dell’arte ingenua, l’Associazione Naifs Padani e già prima nel 1967 era nato, incoraggiato da Cesare Zavattini, il premio Luzzara, concorso di pittura naif che da allora si terrà ogni anno. Luzzara diventa anche sede di un museo di arte naif.
La fioritura di talenti “ingenui” non è stata comunque limitata alle due aree geografiche di cui abbiamo parlato. Un buon numero di pittori naif opera negli stessi anni o poco dopo a Milano e in altre zone della Lombardia, in Piemonte, in Veneto e nel Meridione.
Negli anni Sessanta e Settanta il pubblico decreta sempre maggior successo al genere naif forse perché esso sembra (apparentemente!) di facile lettura per la gente ormai stanca di avanguardie cervellotiche. La fortuna del naif diminuisce negli anni Ottanta soprattutto a causa delle troppe speculazioni nel mercato dell’arte.
Negli ultimi due decenni però abbiamo assistito a una ripresa dell’interesse per il naif, ci sono state mostre importanti (come quella del 2001 a Torino a palazzo Bricherasio e quella del 2009 al castello di Miradolo) e perfino l’imprevedibile Sgarbi ha organizzato una mostra di pittori naif a Gualdo Tadino nel 2015. Ci sono poi iniziative annuali estremamente valide come la rassegna curata da Antonio Protto che ormai da parecchi anni ci propone (oltre ad altre iniziative minori) “il maggio naif”, un’ampia esposizione, presso la Mandria di Chivasso (Torino), di pittori ingenui del passato e del presente. Altre iniziative simili esistono a Varenna, sul lago di Como e altrove.
Infatti ci sono anche oggi molti ottimi pittori naif che lavorano, a volte senza riconoscimenti, in modo estremamente interessante.
Il genere naif merita grande attenzione e considerazione. Non solo perché esso ci offre una immersione in un mondo sognante e fiabesco: il naif è molto di più di questo. Il naif non è una semplice fuga dalle tristezze della realtà: nell’evocare un mondo “altro”, un mondo di autenticità e spontaneità, di libera e gioiosa espressione della fantasia, la pittura naif propone dei precisi valori, anzi una vera scala valoriale. ( E’ stato osservato che la pittura naif non è poi così “facile” perché dietro l’apparente ingenuità ci sono profondità inaspettate, spirito critico, a volte spiritosa malizia). Benché l’arte naif sia spontanea e neoprimitiva, non si può poi negare qualche interferenza con la pittura accademica e colta. Nel primitivismo di Gauguin, nelle visioni di Van Gogh, nei magici villaggi russi di Chagall, negli omini di Rosai c’è qualche elemento di naiveté. Tematiche naif sono state utilizzate da pittori professionisti come come il lombardo Usellini o il sudamericano Botero per non parlare di Fiorenzo Tomea. E andando indietro nel tempo, non c’è forse qualche affinità tra i contadini dipinti dai naif croati e quelli di Brueghel il Vecchio?
È facile farsi affascinare da un dipinto naif. Quando sarete di fronte ad una magica collina fiorita o a delle isbe innevate sotto un incredibile cielo scarlatto, immaginate di fare un salto e di entrare a piè pari, come avviene nelle favole, in quel paesaggio. Vi ritroverete in una provincia incantata del Regno dei Sogni.

 

Mijo Kovačić
Mijo Kovačić
Rousseau – Il sogno
Antonio Ligabue – Ritorno ai campi con castello, 1950-1955, olio su faesite
Antonio Ligabue